LA GUERRA IN UCRAINA
Un varco si è aperto in quella congrega di piccola borghesia, professori e canuti aspiranti capi di movimenti che si ritengono di sinistra ma che hanno con ogni mezzo, con ogni contorsione logica giustificato, ribilanciato, coperto l’imperialismo russo; senza rendersi conto che così sono finiti per togliere alla lotta contro l’imperialismo mondiale, sia esso russo, europeo, americano, cinese ogni valore rivoluzionario. Dal varco che si è aperto viene fuori un comunicato, sottoscritto anche da attivisti e intellettuali della sinistra in Italia, che sulla vicenda ucraina rifonda una coerente posizione antimperialista, un internazionalismo antimperialista che è l’unica possibilità di unione militante fra gli operai delle nazioni dominanti e gli operai delle nazioni oppresse. Come operai e come redazione di Operai Contro salutiamo con slancio l’iniziativa, non tutto è perduto, ci sono in giro ancora dei compagni, e la resistenza del popolo ucraino li sta facendo venire alla ribalta.
CON LA RESISTENZA DEL POPOLO UCRAINO
PER LA SUA VITTORIA CONTRO L’AGGRESSIONE
Come all’epoca della lotta di liberazione del popolo vietnamita, siamo sempre stati dalla parte dei popoli oppressi o aggrediti, sia che gli aggressori fossero gli Usa (e i loro alleati della Nato) o l’Urss (e i suoi alleati del Patto di Varsavia).
Siamo consapevoli che, varcando oceani e continenti diversi, la lotta di liberazione nazionale e sociale dei popoli è unica e mondiale.
Non abbiamo mai accettato né accettiamo ora che una qualsiasi potenza o blocco militare possa impedire a un popolo di decidere del proprio futuro, in contrasto con il diritto dei popoli all’autodeterminazione nazionale.
Per questi motivi siamo a fianco della Resistenza del popolo ucraino contro l’aggressione dell’imperialismo russo e il suo tentativo di ricostruire l’Impero zarista, divenuto poi sovietico.
Come per le altre lotte di liberazione nazionale, la nostra solidarietà con il popolo dell’Ucraina è senza condizioni e prescinde dal giudizio sulla sua direzione politica, poiché spetta unicamente alle ucraine e agli ucraini decidere del futuro del loro Paese.
Così come spetta solo al popolo dell’Ucraina decidere se continuare la guerra per l’indipendenza nazionale e i termini della pace con l’aggressore.
L’efficace Resistenza ucraina all’invasione della superpotenza russa dimostra senza alcun dubbio la forza del fattore morale e quale sia la volontà del popolo, contro quelle teorie para-razziste che fanno degli ucraini solo un giocattolo in mano della Nato. In questo senso possiamo dire invece che il popolo ucraino ha già vinto moralmente e politicamente. Più difficile sarà invece la vittoria anche militare che noi ovviamente sosteniamo.
La guerra voluta dal regime semidittatoriale di Putin:
– è un’aggressione contro le vite dei cittadini ucraini e contro l’indipendenza del popolo ucraino;
– è un’aggressione contro i cittadini-soldati russi d’ogni nazionalità, mandati al macello e a macellare per rafforzare il regime politico interno e il capitalismo russo;
– è una minaccia dell’imperialismo e del nazionalismo grande-russo a tutte le Repubbliche post-sovietiche;
– è un incitamento alle altre potenze imperiali ad attuare interventi militari nel mondo;
– ha già avuto l’effetto di rafforzare ed estendere la Nato, facendo aumentare le spese militari;
– è un incitamento alla proliferazione dell’arma nucleare, in quanto l’Ucraina aveva volontariamente ceduto alla Russia le testate strategiche e tattiche, e i vettori che ne facevano la terza potenza nucleare mondiale. In cambio, nel 1994 la Russia si era impegnata a rispettare l’integrità e la sovranità dell’Ucraina. Questa è il primo Stato al mondo (dopo il Sudafrica) ad aver attuato il disarmo nucleare unilaterale.
Che il regime semidittatoriale nazionalista russo, sostenitore di molte organizzazioni della destra europea, intenda «denazificare» l’Ucraina è un insulto alle vittime dell’Olocausto, all’antifascismo, al sacrificio degli stessi popoli sovietici nella guerra contro il Terzo Reich.
Non si può dire che questa sia una guerra tra imperialismi, perché l’Ucraina non è un Paese imperialista ma è penetrato dal capitale russo e occidentale.
Non si può intendere la pace come accordo tra potenze imperialistiche che si spartiscono sfere d’influenza alle spalle dei popoli.
Non si può dire semplicemente «fermate la guerra», ma si deve lottare per il ritiro delle truppe d’invasione oppure la loro sconfitta militare.
Non si può dire al popolo dell’Ucraina «resistete!» senza riconoscergli il diritto di procurarsi le armi adeguate alla sua autodifesa dove e come può.
Non vi può essere equidistanza fra la Resistenza di un popolo e l’aggressore.
Per questo chiediamo la massima solidarietà ideale e materiale con la Resistenza del popolo ucraino contro l’invasione imperialista di Putin. Chiediamo solidarietà a chi in Russia si oppone alla guerra rischiando molti anni di carcere e a quei soldati russi che rifiutano di continuare a combattere i fratelli ucraini.
Oltre a iniziative locali di solidarietà con il popolo dell’Ucraina proponiamo che si arrivi a una giornata mondiale di solidarietà con la Resistenza ucraina, come già fu per la lotta di liberazione del Vietnam e contro l’aggressione imperialista all’Iraq.
Sulla base di questa nostra Dichiarazione aderiamo all’iniziativa dello European Network in Solidarity with Ukraine (ENSU).
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Primi firmatari:
(Italia) Antonella Marazzi, Roberto Massari, Michele Nobile, Riccardo Bellofiore, Oreste Scalzone, Laris Massari, Giorgio Amico, Andrea Furlan, Giovanna Vertova, Liben Massari, Dario Giansanti, Cinzia Nachira, Anna Della Ragione, Walter Baldo C., Andrea Coveri, Marco Noris
(Argentina) Horacio Tarcus, Beatriz Sarlo, Vera Carnovale, Laura Fernández Cordero, Martín Baña, Alejandro Gallian, Maristella Svampa, Pablo Stefanoni, Pablo Alabarces, Carlos Altamirano, Carlos Penelas, Mariano Schuster, Abel Gilbert, Alejandro Katz, Horacio Ricardo Silva, Karina Jannello, Adrián Gorelik, Hugo Vezzetti
(Brasil) Maria Elisa Cevasco, Vanessa Oliveira
(Canada) Jeffery R. Webber
(Chile) Patricioi Calderón
(Cuba) Julio César Guanche
(Ecuador) Marc Saint-Upery
(Ellada [Ελλάδα]) Tassos Anastassiadis
(España) Jaime Pastor Verdú, Alfons Bech
(Euskal Herria) Joxe Iriarte «Bikila»
(France) Michel Antony, Michael Löwy, Richard Neuville, Dardo Scavino, Jean Puyade, Christian Mahieux, Patrick Silberstein, Robi Morder, Mariana Sanchez, Hélène Roux, Elisa Moros, Catherine Samary, Pierre Pelan, Patrick Le Trehondat, Sylvain Silberstein, Romain Descottes, Francis Sitel, Armand Creus, Jean-Paul Bruckert, Eva Roussel, Irène Paillard, Stefan Bekier, John Barzman, Laurence Boffet, Nara Cladera, Hortensia Ines, Julien Troccaz, Jan Malewski, Vincent Présumy, Julien Salingue, Michel Lanson
(India) Jairus Banaji, Rohini Hensman
(México) Rafael Mondragón, Manuel Aguilar Mora, Ismael Contreras, Jaime González, Alvaro Vázquez, José Juan Grijalva
(Nederland) Jan Lust
(Österreich) Christian Zeller
(Panama) Ligia Arreaga
(Perú) Hugo Blanco, José-Carlos Mariátegui (nieto)
(Polska) Zbigniew M. Kowalewski, Katarzyna Bielińska, Stefan Zgliczyński, Michał Siermiński, Szymon Martys, Paweł Szelegieniec, Artur Maroń, Jacek Drozda, Paweł Michał Bartolik, Michał Kozłowski
(Suisse-Schweiz-Svizzera) Stefanie Prezioso, Jean Batou
(Ukraïna [Україна]) Hanna Perekhoda, Vladislav Starodubtsev, Taras Bilous, Denys Gorbach
(United Kingdom) Alessandra Mezzadri, Gilbert Achcar
(United States) Scott Carter, Linda Allegro, Dan La Botz, Sherry Baron, Samuel Farber, Nancy Hollmstrom
(Uruguay) Gerardo Garay, Gerardo Caetano
15 - L’OPPOSIZIONE ALLA GUERRA IN RUSSIA E NEI TERRITORI UCRAINI OCCUPATI
22 MAGGIO 2022
a cura di Crisi Globale * | 20 Maggio 2022 – Ripreso dal sito di MPS
In Russia la tipologia delle forme di opposizione diretta o indiretta contro la guerra è sorprendentemente vasta, così come è eccezionalmente ampia la sua copertura geografica e quella delle diverse categorie di popolazione. Anche nei territori ucraini occupati vi è una visibile attività di resistenza. Questo articolo offre una mappatura delle azioni che in un modo o nell’altro in Russia e nei territori ucraini occupati oppongono resistenza alla guerra di Putin.
Per alcune brevi settimane dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, in quest’ultima si era delineato l’avvio di un movimento antiguerra incentrato soprattutto sulle manifestazioni di piazza. Tuttavia, l’ondata di arresti e la sistematica repressione di ogni iniziativa da parte del Cremlino, con il varo tra le altre cose di nuovi dispositivi di legge che prevedono pene anche fino a 10 o 15 anni di reclusione per chi si oppone alla guerra anche con atti del tutto pacifici, ha presto spento le iniziative di piazza e, con loro, il tipo di movimento che si andava formando. Attualmente in Russia non vi è più alcuno spazio per un movimento di massa attivo nelle strade. Ma se su questo piano il Cremlino ha ottenuto un rapido successo, nel paese stanno emergendo sempre più insistentemente forme di resistenza che, per quanto frammentate, nel loro insieme costituiscono sicuramente motivo di grande preoccupazione per il regime. In questo vasto e caotico calderone di opposizione alla guerra si trova di tutto: dai veri e propri sabotaggi o attentati incendiari, alla renitenza al reclutamento, alla diserzione, ai graffiti sui muri, agli aiuti umanitari solidali, alle proteste di mogli dei soldati delle repubbliche separatiste e molto altro ancora. In alcuni casi non è possibile attribuire direttamente alla resistenza antiguerra atti di origine difficilmente identificabile, in molti altri i soggetti operano invece alla luce del sole. In questo articolo offriamo un campionario delle forme di atti contro la guerra in Russia e nei territori ucraini occupati, campionario che non ha alcuna pretesa di essere esaustivo (perché è semplicemente impossibile in questo stadio della guerra) e si pone l’esclusivo obiettivo di dare delle coordinate di massima. In rete si trovano molti materiali su questo tema, a volte ricchi di dettagli circostanziati, e sono utili in particolare alcuni canali Telegram specializzati. Alla fine dell’articolo forniamo una serie di link.
Sabotaggi, attacchi incendiari
Dallo scorso mese di marzo in Russia si è verificata una catena di grandi incendi che hanno distrutto depositi di carburante, arsenali, strutture di ricerca militare o aerospaziale, centrali elettriche e altre strutture meno direttamente ricollegabili alla guerra in corso in Ucraina, come depositi di libri o teatri (su questo tema si possono consultare gli articoli di Atlantic Council, Washington Post e New York Times). Gli incendi o le esplosioni che hanno colpito depositi di carburante o di munizioni nelle aree russe direttamente confinanti con l’Ucraina sono quasi certamente da attribuirsi ad azioni dell’esercito di Kyiv o di sabotatori a esso collegati, in particolare i ripetuti incendi verificatisi nella regione di Belgorod, snodo fondamentale della logistica a sostegno dell’invasione, che è stata anche oggetto di attacchi con elicotteri o di tiri di artiglieria. Ma ciò appare decisamente meno probabile per gli altri ripetuti incendi, alcuni di grandi dimensioni, verificatisi molto più all’interno del territorio russo. Grandi incendi si sono verificati in aprile anche a Voronezh e Bryansk, nel secondo caso a una distanza ancora colpibile dai migliori missili ucraini, ma la precisione del lancio farebbe pensare a qualche supporto in loco. Decisamente al di fuori dalla portata dei missili di Kyiv sono però i tre luoghi della Russia centrale in cui nell’ultima decina di giorni di aprile si sono verificati con un’impressionante catena grandi incendi in strutture tutte riconducibili al sistema militare aerospaziale russo: l’istituto del Ministero della difesa di Tver, impegnato in particolare nella ricerca su missili e sistemi antiaerei; l’impianto chimico di Kineshma che forniva propellenti essenziali per i missili usati dalle forze armate russe; un istituto di ingegneria aerospaziale alla periferia di Mosca. In questi casi ci troviamo chiaramente di fronte a sabotaggi di grande portata, sebbene sia impossibile determinarne la paternità. Se sono stati in qualche modo organizzati da Kyiv, presuppongono comunque l’esistenza di qualche importante forma di appoggio in loco a livello organizzativo. Se invece sono opera di settori “dissenzienti” interni all’establishment russo, sarebbero il segno di profonde divergenze al suo interno. Quando nello stesso periodo si sono verificati altri vasti incendi, per esempio, in un grande deposito di libri che ospitava anche testi scolastici rivisti in funzione “patriottica” all’insegna del sostegno alla guerra, o in una centrale elettrica nella penisola di Sakhalin, in prossimità di aree in cui le tensioni tra Russia e Giappone si sono fortemente inasprite dopo l’inizio della guerra, in tutti gli osservatori sono insorti legittimi sospetti che fossero in qualche modo legati alla guerra in corso.

Mappa degli incendi ed esplosioni in Russia ricollegabili alla guerra, aggiornata al 2 maggio
Un’altra forma di sabotaggio che appare diffusa è quella dei deragliamenti di treni. Si tratta di atti che si ispirano alla vasta campagna di sabotaggi messa in atto in Bielorussia nelle primissime settimane della guerra e fermata solo dopo un’ondata di arresti che ha portato in carcere praticamente l’intera dirigenza dei sindacati indipendenti, che ne erano stati gli ispiratori. Sebbene non vi siano cifre precise a causa della censura di guerra, la documentazione (anche fotografica) raccolta da attivisti russi indica con chiarezza che questo sistema di sabotaggio è diffuso in ampie aree del paese ed è in crescita. Le stesse autorità di Mosca hanno arrestato due giovani russi accusandoli di avere sabotato il transito di convogli militari ferroviari nella regione di Belgorod – è l’ammissione implicita che in questa area strategica non sono solo le forze armate ucraine o i loro sabotatori a colpire, ma esistono anche russi pronti ad agire con decisione contro la macchina bellica di Mosca. Esiste inoltre un gruppo che nel suo canale Telegram rivendica l’esistenza di un movimento clandestino articolato che sta organizzando sabotaggi delle linee ferroviarie. Si chiama “Ostanovi vagony” e riportiamo qui di seguito a titolo documentativo due loro dichiarazioni programmatiche:
♦️ Il movimento partigiano in Russia non ha un centro unico
♦️ Esistono almeno 20 gruppi organizzati di gruppi partigiani che operano in modo indipendente in tutto il Paese.
♦️ I gruppi non hanno contatti diretti tra di loro per motivi di sicurezza.
♦️ La comunicazione interna alla resistenza avviene attraverso il messenger sicuro Signal
♦️ Inoltre, esiste una resistenza contro la guerra di tipo CAOTICO – OGNI SINGOLO russo può parteciparvi se lo desidera.
(In realtà, è per questo che nel canale c’è l’hashtag #istruzioni – noi ci occupiamo delle azioni più difficili da organizzare, ma nel caso di una guerra partigiana la quantità si trasforma in qualità).
Il nostro obiettivo è fermare la guerra che Putin ha scatenato in Ucraina.
I metodi sono il sabotaggio e l’interruzione delle linee ferroviarie, poiché è lungo di esse che vengono trasportate attrezzature militari, munizioni e carburante da tutta la Russia.
I nostri principi: niente spargimenti di sangue e niente vittime. La vita umana ha per noi un valore altissimo. È proprio per questo che abbiamo deciso di agire, e che lo facciamo nel modo in cui lo facciamo.
Il nostro gruppo ha organizzato ed eseguito la sua prima azione nella prima metà di marzo. Non possiamo specificare la data o la regione per motivi di sicurezza.
All’inizio di aprile abbiamo creato il primo canale [Telegram] Ostanovi vagony per:
- a) raccontare i successi della resistenza ferroviaria, di cui i media federali non parlano
- b) condividere le istruzioni per compiere atti di sabotaggio nel modo più facile e sicuro. Sappiamo che molti russi sono contrari alla guerra. Una protesta interna può e deve trasformarsi in una protesta esterna.

Un altro tipo di azione contro la guerra è quello degli attacchi incendiari (quasi sempre co molotov) contro i centri di reclutamento dei commissariati militari. Sono finora 14 gli attentati di questo tipo documentati con certezza nel paese, su un’area geografica molto diffusa, ma che prende di mira principalmente centri di reclutamento nelle città di provincia più povere dove la sorveglianza esterna degli edifici è scarsa. E’ probabile che ve ne siano stati altri non documentati in rete. Il quotidiano Le Monde rileva che nel mese di maggio vi è stato un incremento di questi episodi, probabilmente da mettere in relazione con il fatto che le autorità militari russe, pur non avendo dichiarato la mobilitazione generale, stanno inviando ai riservisti “inviti” a presentarsi presso i comandi militari, dove vengono poi costretti con metodi coercitivi ad arruolarsi. Ecco una mappa aggiornata solo al 2 maggio, che è di per se stessa più che eloquente:

Va poi citata una forma di resistenza di particolare importanza simbolica, quella dei russi che sono andati a combattere in Ucraina a fianco dei resistenti locali. Dallo scorso mese di marzo all’interno dell’esercito ucraino opera un’unità specifica composta unicamente da russi, dal nome emblematico “Svoboda Rossii” (“Libertà per la Russia”) e la cui insegna ha i colori azzurro e bianco del movimento di opposizione alla guerra che opera in Russia. Ulteriori dettagli qui: https://time.com/6165422/russians-in-ukraine/ , https://ru.netgazeti.ge/36743/. L’unità ha anche un proprio canale Telegram: https://t.me/legionoffreedom . Ecco i suoi obiettivi dichiarati, così come pubblicati nel canale:
I nostri obiettivi:
Distruggere Putin e il suo regime
Portare in Russia la libertà e la speranza che la nostra Patria diventi un paese libero senza dittatori, oppressione e violenza.
La nostra battaglia è giusta!
Putin sarà distrutto!
La vittoria sarà nostra!
Infine, nelle aree dell’Ucraina del sud occupate vi sono attività di resistenza diffuse. Per più di un mese si sono svolte in tutta l’area partecipate manifestazioni, in particolare a Kherson. Poi, una volta consolidato il loro controllo sull’area, le forze russe di occupazione, affiancate da alcuni collaborazionisti del sottobosco ex Yanukovich o dell’estrema destra, hanno messo in atto repressioni sistematiche e micidiali, che comprendono per esempio la tortura e l’arresto o le sparizioni forzate di membri di riferimento della società civile, sul modello di quelle già adottate dai separatisti filorussi nel Donbass a partire dal 2014. Le manifestazioni sono andate scemando, ma vi sono ancora diffusi atti di resistenza, come per esempio la sostituzione di bandiere e simboli russi con altri ucraini, e di recente la resistenza ucraina ha dichiarato di avere ucciso in un agguato due ufficiali russi a Melitopol. Le autorità russe confermano solo che sono in corso indagini sul non meglio precisato “omicidio di due persone” nella città. Sempre nell’area di questa città i partigiani hanno effettuato almeno due attentati con esplosivo che hanno bloccato le linee ferroviarie utilizzate per i rifornimenti.
Renitenza al reclutamento, diserzioni, proteste di parenti
In tutta la Russia vi sono numerosissimi casi di renitenza al reclutamento o di rifiuto da parte di soldati di recarsi al fronte in Ucraina. Ci sono avvocati e organizzazioni specializzati nella difesa dei renitenti e dei disertori che sono ora sommersi da richieste di assistenza legale. Su questo tema Riccardo Michelucci ha scritto di recente un articolo esauriente per il quotidiano italiano Avvenire, al quale rimandiamo: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/sabotaggi-diserzioni-proteste-il-malessere-dei-soldati-russi. Un altro articolo ricco di informazioni, ma in inglese, è consultabile qui: https://www.matrioska.info/attualita/more-and-more-russian-refuse-to-fight-in-ukraine/. La documentazione più completa e dettagliata è quella raccolta e aggiornata regolarmente da un gruppo di femministe russe (sia in russo che in inglese): https://docs.google.com/document/d/e/2PACX-1vRJ5utk-p2qqu-c2ZkJLEEBvC5YVDG71GCDOhpgrS1Menu2HEHFI-7zhGrHbLLvUc2iGoK72k9t8-Gd/pub.
A queste forme di renitenza e opposizione in Russia vanno aggiunte quelle nei territori ucraini occupati, dove però è ancora più difficile reperire informazioni. A differenza che in Russia, nelle due “repubbliche” è stata dichiarata ufficialmente la mobilitazione generale. Stando alla documentazione disponibile in rete, ancora una volta soprattutto in Telegram, le adesioni spontanee sono state molto limitate. Le autorità militari locali hanno pertanto iniziato a organizzare retate in strada per portare ogni persona di sesso maschile caduta nelle loro maglie nei centri di reclutamento. Molti ragazzi e uomini si sono nascosti presso case di parenti o amici al fine di evitare di essere mandati al fronte. Circola anche la notizia, ovviamente non confermata vista la situazione caotica di guerra, che un intero contingente di soldati delle “repubbliche” si sia rifiutato di tornare a combattere al fronte dopo la disastrosa sconfitta nei giorni scorsi del tentativo delle forze russe e separatiste di passare il fiume Donec utilizzando pontoni, sconfitta che avrebbe causato un numero di vittime molto alto. I russi hanno concentrato le loro forze migliori e meglio armate nella zona di Severodoneck dove stanno effettuando un attacco di grande importanza tattica, assegnando alle forze separatiste poco addestrate e mal armate il compito di difendere zone ora meno importanti per Mosca, come per esempio la regione di Kharkiv, da un “nemico ucraino” molto più preparato e meglio armato. In questi giorni si è tenuta a Lugansk, di fronte alla sede del governo separatista locale, una protesta di mogli di soldati delle milizie separatiste che erano stati inviati al fronte nell’area di Kharkiv, da dove erano scappati perché incapaci di difendersi. Ma quando sono riusciti a tornare nelle retrovie sono stati nuovamente inviati al fronte nelle medesime condizioni (qui un altro video sulla protesta). In generale, ecco come descrive la drammatica situazione nelle repubbliche separatiste un abitante della regione di Donetsk iscritto al canale Telegram del gruppo antiguerra russo “Nevoyna” (“Nonguerra”): “Sto vicino a Donetsk, attualmente sono disoccupato. Molte imprese sono state distrutte (non solo dai combattimenti, ma anche dallo smantellamento, dal furto, dalla fusione delle materie prime per ricavarne metallo vendibile, oppure dal loro trafugamento e poi rivendita), i prezzi sono altissimi anche per gli standard russi, gli stipendi sono miserabili (sempre che si abbia uno stipendio), le medicine stanno scomparendo, l’approvvigionamento d’acqua è scarso, la mortalità è elevatissima (per il Covid e altre cause; è più alta che in qualsiasi altro Paese al mondo), la popolazione si sta riducendo al lumicino sia per la mancanza di medicine sia per l’alto tasso di emigrazione. Da febbraio sul territorio delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk è in atto una politica genocida contro gli uomini di età compresa tra i 18 e i 55-65 anni. Vengono catturati ovunque (per strada, ai posti di blocco…) per essere inviati tutti (anche quelli malati, con molti figli, che assistono parenti infermi, che non hanno mai impugnato un’arma…) senza alcun addestramento, senza giubbotti antiproiettile ed elmetti, armati solo di fucili Mosin 1897, all’assalto di fortificazioni di cemento, contro mortai e sistemi missilistici. Il tasso di mortalità è spaventoso, spesso muoiono di fame, vivono praticamente per strada, dormono sulla nuda terra, non c’è assistenza medica per i malati e i feriti, nessun contatto con i parenti, minacce di esecuzione per qualsiasi oltraggio, ecc. I parenti non sanno che i loro figli, mariti, padri e fratelli sono morti da tempo. A tutti gli uomini, tranne agli anziani e ai bambini, è vietato lasciare le due repubbliche… “.
Altre forme di resistenza e sabotaggio
Oltre alle forme di resistenza descritte sopra, nel corso di questi primi tre mesi di combattimenti in Ucraina è emersa una variegatissima serie di altre iniziative contro la guerra voluta da Putin. Alcune sono di carattere solidale e umanitario. Per esempio, il Financial Times racconta di un’estesa rete organizzata da attivisti russi che aiutano gli ucraini fuggiti dalla guerra nel Donbass che non hanno trovato altra via di uscita se non quella che portava in territorio russo. La maggior parte di questi profughi viene inviata in campi e altre sistemazioni temporanee in aree lontane dalla Russia, dopo essere passati attraverso la cosiddetta “filtrazione”, il processo condotto con metodi umilianti e aggressivi dalle autorità russe per individuare coloro che ritengono arbitrariamente essere dei soggetti pericolosi. Un’ampia rete solidale aiuta questi profughi di guerra, quasi tutte persone fortemente traumatizzate da settimane e anche mesi passati chiusi nelle cantine sotto i bombardamenti, a risolvere gli innumerevoli problemi pratici e finanziari che si trovano ad affrontare in un paese straniero, per poi organizzare la loro fuga dalla Russia, perlopiù verso i paesi baltici e in particolare l’Estonia. Il gruppo “Feministskoe Antivoennoe Soprotivlenie” (“Resistenza Femminista Contro la Guerra”) ha descritto recentemente in un post del suo canale Telegram le attività di un’altra rete basata nella regione russa di Belgorod, vicina a Kharkiv e alle altre zone oggi più colpite dalla guerra. Si tratta di una rete che coinvolge il lavoro di attivisti sia russi che ucraini e che si occupa “di inviare cibo e medicine, di evacuare persone e animali che si trovano sotto le bombe, di trovare alloggio per i profughi e di farli evacuare in Europa, di pagare interventi chirurgici e di aiutare i feriti”. Attualmente il gruppo si sta concentrando sugli aiuti alla popolazione di una delle zone più devastate dai combattimenti, quella di Izyum (al link fornito sopra potete trovare le coordinate per effettuare donazioni al gruppo, così come un link ai resoconti su come i soldi vengono spesi). Va osservato che i gruppi femministi e quelli delle donne della Russia più in generale sono uno dei fulcri più importanti e decisi del vasto movimento antiguerra. In fondo al nostro articolo, dopo la conclusione e i link di canali telegram, pubblichiamo la traduzione integrale in italiano di un recente appello delle donne appartenenti alle “minoranze nazionali” della Russia che è un esempio di come le femministe del paese siano capaci di muoversi contro la guerra andando molto oltre il loro orizzonte specifico e di farlo sia con decisione sia con una notevole maturità politica. Ne consigliamo vivamente la lettura per farsi un’idea più completa della natura profonda del movimento antiguerra.
Solo a prima vista non direttamente connessi alla guerra sono gli scioperi, le repressioni degli stessi e le lotte a sostegno dei sindacalisti vittime di repressioni. Il caso più eclatante è stato quello di Kirill Ukraintsev, presidente del sindacato dei rider arrestato a Mosca nel terzo giorno dello sciopero della categoria che rappresenta. Ma di recente le autorità statali stanno inviando minacce trasversali anche ad altre organizzazioni dei lavoratori, come per esempio il sindacato dei giornalisti. Il testo che accompagna la raccolta online di firme per la liberazione di Ukraintsev, pur non nominando mai la guerra in corso, indica chiaramente che è la situazione creata da quest’ultima il vero motivo all’origine degli attacchi contro gli attivisti sindacali: “Le autorità e le aziende vogliono far ricadere tutti gli oneri della crescente crisi economica sulle spalle e sui portafogli dei lavoratori. Stiamo assistendo a licenziamenti in massa, a lavoratori in “ferie forzate” o in aspettativa non retribuita e a un calo dei redditi. Nei prossimi mesi la situazione non potrà che peggiorare e inasprirsi. La gente si organizzerà e sciopererà, chiedendo aumenti salariali o difendendo il diritto stesso al lavoro. Invitiamo i rider che effettuano consegne di generi alimentari, i clienti e tutte le persone interessate a schierarsi a favore del sindacalista e a mostrare il loro sostegno! Le autorità hanno deciso di spegnere l’incendio con rappresaglie contro i leader e gli attivisti del movimento sindacale. Il caso di Kirill Ukraintsev è il primo importante precedente. Abbiamo il dovere di difenderlo!”

Fioriscono anche le azioni di singole persone, i cui iniziatori pagano spesso con l’arresto l’aver compiuto atti del tutto pacifici e innocenti (di fatto, con i recenti inasprimenti delle pene, oggi in Russia disegnare graffiti antiguerra sui muri o intraprendere altre iniziative pacifiche analoghe è punibile con lo stesso livello di anni di carcere previsto, per esempio, per gli assalti con molotov contro i comandi militari). Il caso più noto è quello dell’attivista Sasha Skochilenko, arrestata e ancora oggi in carcere in condizioni dure per avere sostituito le etichette dei prezzi di un negozio con piccoli messaggi antiguerra. Ma i canali Telegram dei gruppi antiguerra sono pieni di testimonianze di piccole azioni individuali, perlopiù graffiti, volantini e sticker antiguerra in posti molto trafficati.

Tra le innumerevoli altre piccole iniziative si può citare quella del piccolo memoriale improvvisato da parenti e amici di morti al fronte per ricordare le vittime, distrutto quasi immediatamente dalla polizia.

Un altro caso è quello dei parenti delle centinaia di marinai, molti dei quali giovanissimi e quasi sicuramente per la maggior morti nell’affondamento dell’incrociatore russo “Moskva” ad aprile, che cercano di sapere qual è stato il destino dei loro cari scontrandosi col muro di ostilità e di reticenza delle autorità militari, come racconta il sito russo indipendente Meduza (che è riuscito a sopravvivere trasferendosi in Lettonia già anni fa). Ci sono poi casi letteralmente orwelliani, come quello di Roman King, arrestato l’11 aprile con l’accusa di avere “discreditato l’esercito russo” (reato punibile con una pena fino a 10 anni di carcere) per il solo fatto di essersi messo in silenzio a fianco di un monumento ai bambini vittime della Seconda guerra mondiale tenendo in mano un cartello con la scritta… “No al nazismo”!

Un altro caso simile è quello dell’artista Alisa Gorshenina, fermata dalla polizia a Nizhnyj Tagil con la stessa accusa di “discredito dell’esercito russo” per essersi messa in piedi di fronte a un centro per l’infanzia denominato “Mir” (“Pace”) tenendo in mano una rosa bianca dalla quale pendevano nastrini con la scritta “Siamo contro la guerra”. Gorshenina se la è cavata con una multa di oltre 500 euro. Su un piano più umoristico, qualcuno ha sabotato una trasmissione della TV statale seguita da milioni di spettatori e incentrata su canti e danze patriottici in occasione della ricorrenza 9 maggio, inserendo tra le foto di veterani e vittime di quella guerra un ritratto… di Bonnie e Clyde. Sono lo stesse autorità russe a descrivere questo evento come un atto di sabotaggio.
Un altro canale antiguerra interessante è “Soyuz materey” (“Unione delle madri”), molto attivo, tra le altre cose, nella denuncia dei soprusi e del lavaggio del cervello al quale vengono sottoposti i piccoli scolari russi, di cui sono testimonianza tra i tanti altri questo video di bambini costretti a sfilare in uniforme e “vestiti” da tank con la Z o questo post sugli “esami di di patriottismo” ai quali sono stati sottoposti alcuni alunni. Impegnato in un analogo lavoro di denuncia è anche il sindacato indipendente degli insegnanti “Alyans uchiteley”, il cui canale Youtube è ricco di video sul tema: https://www.youtube.com/channel/UCfD6O-n4-Sw7r3xci7YStgg/videos . Ci sono stati numerosi casi di insegnanti multati o addirittura licenziati per avere tenuto lezioni poco “patriottiche” o semplicemente per avere invitato gli alunni a discutere liberamente della guerra… pardon, dell’”operazione militare speciale”.
Il caso della giornalista della televisione statale che nello scorso mese di marzo è “intervenuta” sullo sfondo di un telegiornale con un cartello antiguerra ha avuto eco in tutto il mondo. Ma ci sono stati altri episodi che hanno riguardato i media e i giornalisti, tra i quali il più notevole è stato quello della pubblicazione di un duro testo antiguerra (con frasi come “il dittatore Putin sta portando la Russia nell’abisso”) su Lenta.ru, uno dei più popolari siti russi di news: non si è trattato di un atto di hackeraggio, bensì dell’iniziativa aperta e firmata di due coraggiosi giornalisti del sito, Egor Polyakov e Aleksandra Miroshnikova. Sono inoltre stati pubblicati e diffusi anche numerosi appelli contro la guerra su iniziativa di artisti, accademici e scienziati, molto dei quali con un numero inaspettatamente ampio di sottoscrittori e/o con l’adesione di persone dall’ampia popolarità. Si può trovare un elenco aggiornato di questo tipo di iniziative al seguente indirizzo (in russo e in inglese): https://docs.google.com/document/u/1/d/e/2PACX-1vTpUj_oFMQ9kwIe0hyFPYv_DTcKp_z0H2DVEsNhcC44nsEyzZokIuaosaP3cXZh9D5XZvYnGcffDzI/pub#h.seny6aihbhmk .
Ci sono infine altri due fenomeni solo indirettamente collegabili alla guerra, ma si tratta di collegamenti indiretti basati su statistiche che indicano una stretta correlazione con il conflitto scatenato da Putin. Il primo è quello dei falsi allarmi bomba che costringono la polizia a evacuare edifici e altre strutture. Come riferisce l’Eurasia Daily Monitor, da una parte tali allarmi hanno registrato una netta crescita esattamente dall’inizio del conflitto, dall’altra la stessa polizia russa sta arrestando in relazione a essi persone sospettate anche di essere contrarie alla guerra. Un altro fenomeno strano è quello dei furti nei negozi, che hanno registrato un forte balzo esattamente dall’inizio della guerra e fino agli ultimi dati disponibili a fine aprile: +18% nei negozi in generale e addirittura +27% in quelli di generi alimentari. Una percentuale altissima, se si pensa che l’aumento è su meno di tre mesi. Sono dati tanto più sorprendenti se si pensa che tutte le altre categorie di reati hanno registrato leggeri cali. A essere rubati sono soprattutto dolciumi, insaccati e alcolici. Non certo un’esplicita protesta antiguerra, ma un fenomeno strettamente correlato a essa. Oltre all’evidente calo del livello di vita, tra le cause di questo aumento dei furti nei negozi vi è probabilmente anche lo stress causato dalla situazione di guerra e dalla ossessiva propaganda di guerra: evidentemente non sono pochi quelli che vogliono semplicemente dimenticare (vodka, dolciumi…) e, avendo perso ogni fiducia nel sistema, vogliono farlo a sbafo in segno di sfida.
La tipologia delle forme di resistenza diretta o indiretta contro la guerra in Russia è sorprendentemente vasta, così come è eccezionalmente ampia la sua copertura geografica e quella delle diverse categorie di popolazione. Nelle zone occupate dell’Ucraina è estremamente difficile raccogliere testimonianze, vista anche la situazione drammatica di guerra sul terreno, ma gli indizi reperibili parlano, oltre che di uno stato delle cose agghiacciante, anche di notevoli resistenze tra i settori della popolazione rimasta che molti danno per scontato siano “filorussi”. Se in conseguenza delle repressioni e dell’effetto annichilante creato dalla guerra la resistenza in Russia e nell’Ucraina occupata svolge oggi un ruolo ancora in parte marginale, è chiaro che ci sono tutte le basi per lo svilupparsi anche in tempi non lunghi di un ampio e articolato movimento capace di ostacolare seriamente la guerra di aggressione di Putin e di mettere in questione il suo stesso regime. Manca purtroppo un elemento di grande importanza: una solidarietà internazionale attiva e incisiva a sostegno di tutte queste forme di resistenza, non solo quelle più “carine” (termine di comodo che non comporta assolutamente uno sminuirne l’importanza) come i graffiti o gli appelli pubblici, ma anche altri come le diserzioni e gli attentati incendiari contro i comandi militari. Il movimento pacifista, o i gruppi sparsi della sinistra, dell’Europa Occidentale sembrano esclusivamente interessati, fatta eccezione per alcune lodevoli ma isolate iniziative, a fermare l’invio delle armi alla resistenza ucraina o a chiedere l’intervento dei burocrati dell’alta diplomazia statale, espressione di stati dal curriculum guerrafondaio, nonché mossi da interessi chiaramente contrari a una vera pace durevole e alle basi più elementari di un’autentica democrazia. Impegnati a ripetere narcisisticamente i loro rassicuranti vecchi slogan, questi pacifisti non si accorgono che nessuno tra i diretti interessati che si oppongono alla guerra di aggressione, in Ucraina o in Russia, chiede l’intervento della diplomazia internazionale. Il motivo per cui non lo chiedono è molto semplice: sanno benissimo che sarebbe solo uno strumento per farli rimanere anche in futuro inerti schiavi dei loro oppressori.
Alcuni canali telegram del movimento russo contro la guerra di Putin:
– Feministskoe Antivoennoe Soprotivlenie (Resistenza femministra contro la guerra): https://t.me/femagainstwar
– Nevoyna (Nonguerra): https://t.me/narodpv
– OVD-Info: https://t.me/ovdinfo
– Ostanovi vagony (Ferma i vagoni): https://t.me/ostanovivagonyy
– Studencheskoe antivoennoe dvizhenie (Movimento studentesco contro la guerra): https://t.me/antiwarstudents
– Antivoennyi bolnichnyi (Ospedale contro la guerra): https://t.me/stranabolna
– Soyuz materey (Unione delle madri): https://t.me/souzmaterey
– Legion Svoboda Rossii (Legione “Libertà per la Russia”): https://t.me/legionoffreedom
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Appello delle donne delle minoranze nazionali
pubblicato dal canale telegram Resistenza Femminista Contro la Guerra (FAS), 18 maggio 2022
Le donne della Resistenza Femminista Contro la Guerra (FAS) appartenenti a minoranze nazionali hanno scritto un appello rivolto alle rappresentanti dei popoli non russi della Russia che sostengono la FAS. Condividiamo questo appello e vi invitiamo a inviare al bot del movimento le vostre relative considerazioni, i racconti delle vostre esperienze con l’etno-nazionalismo russo e le vostre riflessioni sull’imperialismo russo. Pubblicheremo i vostri relativi testi sui canali social della FAS con l’hashtag #voice_natsmen_ok.
Il governo russo e i suoi propagandisti giustificano la guerra in Ucraina con il “nazismo” delle autorità ucraine e degli ucraini in generale. Come esempi di tale nazismo vengono citati la presunta soppressione della lingua russa e l’oppressione dei russi che vivono in Ucraina. È questa la principale giustificazione avanzata dalla Russia per l’invasione del territorio dei suoi vicini: la Russia sta portando loro la pace e la liberazione dall’oppressione nazionale.
Noi non russe che viviamo in Russia assistendo a ciò ci sentiamo come se fossimo sprofondate in un mondo alla rovescia. Mentre accusa il paese vicino di fomentare la discordia interetnica, la leadership russa tace sul fatto che la Costituzione della Federazione Russa, il documento più importante del paese, menziona solo il popolo russo – su 190 nazioni che lo abitano! – l’unico designato come nazione “costituente lo stato”. A tutti gli altri popoli non è stato concesso questo onore, come se non avessimo partecipato alla formazione e alla vita dello stato. Inoltre, per anni la leadership russa ha ignorato le attività dei gruppi etno-nazionalisti apertamente fascisti sul territorio del nostro Paese, ha chiuso gli occhi sulle “marce russe” che si tenevano ogni anno in molte città e non ha contrastato in alcun modo le voci di chi seminava odio. E ora starebbe salvando un paese straniero da una simile oppressione?
Il problema, in realtà, va molto al di là del modo in cui agiscono le autorità russe. La storia della Russia è una storia di centinaia di anni di imperialismo e di schiavitù coloniale dei popoli intorno a essa e al suo interno. I popoli del Caucaso settentrionale e dell’Asia centrale, della Siberia e del Nord, i popoli della regione del Volga, dell’Estremo Oriente e di altre regioni. Molti di questi popoli sono diventati cittadini dell’impero con la forza. Lo spazio di un post come il nostro non è sufficiente per enumerare tutti coloro che hanno sofferto per mano del centro imperiale. Ci hanno massacrati: gli eventi che vengono presentati nei testi scolastici di storia come, per fare un esempio, la neutrale “scoperta della Siberia” sono stati in realtà un bagno di sangue per coloro che avevano “scoperto” queste terre molti anni prima degli avventurieri di Mosca. Siamo stati russificati, ci è stato proibito di parlare la nostra lingua e di credere nei nostri dei, la nostra cultura e il nostro passato sono stati distrutti. I non russi che, per pura necessità di sopravvivenza, hanno abbandonato le loro radici per cercare di integrarsi, sono rimasti cittadini di seconda classe in Russia, costantemente esposti all’odio a causa del loro nome, del loro aspetto e della loro origine.
In epoca sovietica eravamo soprannominati “natsmen”, le minoranze nazionali. Anche quando le autorità affermavano di sostenerci e di averci “liberato”, venivamo trattati con sufficienza, e questa “liberazione” era in realtà solo una costrizione la cui forma veniva decisa dal centro imperiale. Ci è stata offerta solo una variante di modernizzazione e di futuro, quella impostata da Mosca, che ha rifiutato con disprezzo altre possibili vie di sviluppo, negando loro ogni possibilità di esistenza. L’orrenda parola “natsmen” riassume l’atteggiamento sprezzante che ci ha perseguitato per anni e che ancora oggi siamo costretti a tollerare. E “natsmen” non è ancora la parola peggiore che possiamo aspettarci di sentire, molto più spesso dobbiamo sentire parlare di “churka” [dispregiativo russo per le persone provenienti dall’Asia Centrale], “occhi stretti”, “semiti”.
Gli insulti verbali e il disprezzo non hanno impedito a Mosca di depredare le nostre repubbliche e regioni per decenni, di rubarci i soldi e di viverci sopra. Il disprezzo per i non russi non impedisce certo di utilizzare i membri delle minoranze nazionali per le loro guerre e ambizioni imperiali della Russia: come ha rilevato un’inchiesta della BBC, la maggior parte dei russi uccisi nella guerra in Ucraina proviene dalle aree marginali della Russia, ivi compreso da repubbliche nazionali come il Daghestan, la Buryatia e il Bashkortostan. Non ci sono state praticamente vittime provenienti da Mosca, anche se i residenti della capitale rappresentano quasi il 9% della popolazione russa. La distruzione e lo sfruttamento dei nostri popoli stanno continuando anche in questo esatto momento, e dobbiamo fermarli.
Noi, coordinatrici e attiviste non russe della Resistenza Femminista Contro la Guerra, siamo convinte che sia giunto il momento di riconsiderare il termine “natsmen” (e al femminile “natsmen_ki!) accettandolo con orgoglio. È giunto il momento di unirsi e di lottare per la vita alla quale aspiriamo e che meritiamo, per le nostre lingue e culture, per una Russia che non ha posto per l’oppressione etnica e il pregiudizio. È giunto il momento di lottare per il il principio che ogni popolo ha diritto al proprio futuro, che esiste più di un’opzione di sviluppo e che siamo liberi di sceglierla noi stesse.
Il primo passo di questa lotta è fermare la guerra imperialista in Ucraina, il cui obiettivo è conquistare un altro popolo sottraendogli territori, assoggettando il suo sviluppo agli interessi di Mosca. È giunta l’ora che la Russia lasci vivere in pace gli altri popoli e i paesi vicini, per pensare finalmente al proprio popolo. Invitiamo tutti coloro che hanno a cuore il futuro dei propri popoli a unirsi alle azioni contro la guerra, a diffondere informazioni sulla guerra e sui sabotaggi – e a compiere ogni altra azione che possa contribuire a fermare la guerra.
Cosa si può fare fin da ora?
- Unitevi ai rappresentanti del vostro popolo in gruppi di attivisti, discutete del futuro che desiderate per voi stesse e di come potete lottare per ottenerlo. Alcuni popoli hanno già dato vita a gruppi di questo tipo, come ad esempio “Buryatia libera” e “Calmucchi contro la guerra in Ucraina”. Esprimiamo il nostro sostegno ai partecipanti a queste iniziative.
- Utilizzare la propria lingua madre come strumento di protesta, per aumentare così la visibilità delle persone che in Russia parlano una lingua diversa dal russo.
- Traducete questo appello, il manifesto della Resistenza femminista contro la guerra o altri testi antiguerra nella lingua del vostro popolo. Il manifesto della resistenza femminista contro la guerra è già stato tradotto in lingua udmurta, sakha, bashkira e tatara.
- Create e distribuite manifesti e volantini contro la guerra e per la decolonizzazione delle vostre terre, disegnate graffiti, organizzate proteste.
- Pensate alle possibili forme di sabotaggio delle aziende locali coinvolte nel supporto alla guerra in Ucraina. Non sono solo le imprese del settore della difesa a essere coinvolte in questo processo, ma anche, ad esempio, i media o le scuole che educano i bambini alla guerra e riempiono i loro cervelli di propaganda. Non è necessario licenziarsi, si possono trovare altre soluzioni per evitare compiti evidentemente connessi alla guerra.
Inoltre, stiamo lanciando una nuova rubrica nel canale FAS con l’hashtag #voice_natsmen_ok
Inviate al nostro bot le vostre testimonianze sull’imperialismo russo e sugli atteggiamenti verso i non russi in Russia, e li pubblicheremo sul canale. La guerra in Ucraina è un ennesimo crimine di guerra e gli ucraini sono un ennesimo popolo che soffre a causa dell’imperialismo russo. Finché il passato e il presente della Russia non verranno rielaborati, finché non cesserà la spinta imperiale verso la schiavitù e la conquista, è impossibile parlare di futuro. Combattiamo insieme contro l’imperialismo russo e per la libertà di autodeterminazione nazionale.
*articolo apparso il 20 maggio 2022 sul blog https://crisiglobale.wordpress.com/
14 – DAGLI USA INTERNAZIONALISMO OPERAIO
10 MAGGIO 2022
Comunicato della locale sindacale 7250 del sindacato “Communications Workers of America (CWA)” sulla guerra in Ucraina.
Mentre i servetti dell’imperialismo mondiale assieme alla piccola borghesia pacifista e pretesca hanno mille problemi a sostenere la resistenza armata del popolo ucraino contro l’imperialismo russo, gli operai americani tramite un loro sindacato si schierano apertamente. Non si fanno mettere a tacere per il fatto che anche Biden, i governi europei sostengano entro certi limiti la resistenza. Questi ultimi lo fanno per i loro interessi di concorrenza militare ed economica fra paesi imperialisti, fra USA, Europa e Russia. Non è la prima volta e non sarà l’ultima che i padroni imperialisti fanno feroci critiche alle azioni dei loro confratelli per coprire le loro malefatte. Ma se per questa ragione si giustificasse la mancata solidarietà agli operai ed ai lavoratori ucraini che resistono si finirebbe 1) a non riconoscere il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, 2) a non riconoscere la possibilità che sorga un movimento di liberazione nelle nazioni oppresse, 3) a non sostenere l’unione internazionale fra gli operai delle nazioni che opprimono e quelli delle nazioni oppresse, facendo così in fondo il gioco dell’imperialismo mondiale. Il comunicato che pubblichiamo dimostra che in uno dei capisaldi dell’imperialismo mondiale, gli USA, si sta facendo strada, chiaro e potente, un nuovo internazionalismo operaio.
Solidarietà alla Resistenza del Popolo Ucraino! Le truppe russe fuori ora!
Risoluzione approvata dal CWA Local 7250 Executive Board, 13 aprile 2022.
Communications Workers of America Local 7250 ha sede a Minneapolis MN e organizza i lavoratori di AT&T e DirecTV.
CONSIDERANDO che l’Ucraina è stata a lungo sotto il dominio degli zar russi, dell’Unione Sovietica e ora di Putin;
PREMESSO CHE ciò ha significato la soppressione della cultura ucraina, lo sfruttamento dei lavoratori e l’abuso della terra e delle risorse;
CONSIDERANDO che il popolo ucraino ha continuamente combattuto per la libertà e l’autodeterminazione, inclusa la Rivoluzione della dignità del 2014 che ha rovesciato un governo fantoccio russo oppressivo;
CONSIDERANDO che la sanguinosa invasione e occupazione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo nel 2022 è un tentativo immotivato, ingiusto e immorale di schiacciare l’Ucraina indipendente, che ricorda i tentativi in corso dello stesso governo statunitense di dominare i paesi più piccoli e poveri del mondo;
PREMESSO CHE questa invasione ha già ucciso migliaia di civili, distrutto città e infrastrutture e creato milioni di rifugiati;
CONSIDERANDO che l’eroica resistenza popolare del popolo ucraino ha frustrato i piani della Russia e ispirato la classe operaia in tutto il mondo;
E CONSIDERANDO che in Russia è emerso un movimento contro la guerra coraggioso e audace che mostra che il popolo russo non è un nostro nemico ma un importante alleato.
SIA RISOLTO che CWA 7250 invita il movimento operaio e i lavoratori di tutto il mondo a dare la nostra piena solidarietà alla resistenza del popolo ucraino e chiedere che le truppe russe fuori ora!
Ulteriormente deciso , che cercheremo di offrire supporto materiale (per quanto modesto possa essere) ai sindacati ucraini e alle organizzazioni dei lavoratori coinvolti nella lotta.
Ulteriormente deciso a chiedere a tutti i paesi di aprire i propri confini ai rifugiati di guerra provenienti da Ucraina, Siria, Afghanistan e altri.
Decisi inoltre di chiedere agli Stati Uniti e al FMI di cancellare tutto il debito estero dell’Ucraina di circa 125 miliardi di dollari: queste risorse dovrebbero essere utilizzate per combattere l’invasione e ricostruire dalla devastazione e non per pagare interessi alle grandi banche.
Decisi inoltre che sosterremo la comunità ucraina locale, i sindacati e gli attivisti che organizzano manifestazioni di solidarietà qui.
E infine, sia deciso che, poiché non siamo ipocriti, dobbiamo parlare e opporci a tutto l’imperialismo, compreso quello degli Stati Uniti, perché tutti i popoli meritano di essere liberi e di determinare il proprio destino.
CWA7250-Ukraine-Resolution - clicca qui per scaricare risoluzione in pdf
13 – CONLUTAS: “UCRAINA, SOSTENIAMO LA RESISTENZA DELLA CLASSE OPERAIA”
24 APRILE 2022
Una rete internazionale di importanti sindacati di base composta da Conlutas Brasile, Cgt Spagna e Solidaire Francia lancia una campagna a sostegno degli operai e delle operaie che combattono nella resistenza in Ucraina. Intervista al dirigente di Conlutas, Herbert Claros, pubblicata il 19/4/2022 su “Dinamopress”.
Quali sono le vostre posizioni sulla guerra in Ucraina?
Fin dal primo giorno del conflitto, la nostra rete ha espresso la propria posizione in solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici vittime della guerra. La nostra prospettiva sull’aggressione russa è fortemente critica. Ci sono organizzazioni sindacali che addirittura appoggiano la Russia nel suo diritto di “lottare contro l’imperialismo” e anche da parte nostra è molto chiaro come l’imperialismo europeo e statunitense abbia interessi in questa guerra e non favorisca di certo la pace. Questo è ben esemplificato dal fatto che, per esempio, i salari nella zona est-europea e post-sovietica sono i peggiori in tutta Europa. Le aziende dell’ovest, le grandi multinazionali insomma, hanno tutto l’interesse a mantenere la riserva di manodopera a basso costo rappresentata dall’area geografica di cui l’Ucraina fa parte. A questo si aggiunge anche la “partita” relativa ai gasdotti e alle miniere presenti sul territorio.
Dall’altra parte, però, ci è altrettanto chiaro come il blocco di potere dell’oligarchia russa – che Putin rappresenta alla perfezione – ha grandissimi interessi nella regione. Non si tratta dunque di una “guerra difensiva” contro l’espansionismo della Nato né si tratta di una guerra nazionale per difendere la bandiera o cose del genere. Queste sono bugie per giustificare una guerra di aggressione mossa innanzitutto per interessi economici e finanziari. Ogni guerra nel contesto del capitalismo globale è mossa da questioni di questa natura. Ecco perché, in una tale situazione, solo i governi capitalisti e la borghesia possono avere interesse in una guerra. Ecco perché la nostra posizione è contro l’aggressione russa, ma allo stesso tempo vogliamo denunciare l’ipocrisia dell’imperialismo europeo e statunitense che si esprimono attraverso la Nato. Chi muore in guerra (così come è successo durante la pandemia, in un certo senso) sono i lavoratori, le persone delle classi sociali più deboli, donne, bambini e anziani. I potenti, i grandi capitalisti sono invece ben protetti nei loro bunker.
Come agire dunque?
Noi ovviamente siamo per la pace. Ma cosa vuol dire? Non siamo per la pace in maniera astratta, come dicono tutti (le stesse compagnie e multinazionali sono per la pace in questo momento). Per noi, purtroppo, una vera pace in Ucraina non si può ottenere con un negoziato, perché nelle date condizioni e negli attuali rapporti di forza un negoziato rappresenterebbe una vittoria per Putin. Anche sulla base di quanto ci dicono i nostri compagni ucraini e le nostre compagne ucraine, ci è chiaro che qualsiasi accordo o la vittoria militare di Putin significano la trasformazione dell’Ucraina in una dittatura sotto il controllo straniero. Putin è un leader di estrema destra e la Russia è di fatto una dittatura, sebbene con una patina superficiale di democrazia.
Abbiamo amici sindacalisti a Kryviy Rih (tra Dnipro e Mariupol, dove è presente un’azienda di Arcelor Mittal per cui lavorano 24mila minatori) che ci raccontano come la situazione di lavoratori e lavoratrici nella regione del Donbass è molto simile a una dittatura: da circa 10 anni è impossibile organizzarsi in sindacati o partiti indipendenti. In sostanza, una parte del territorio ucraino è già sotto una specie di dittatura per via dell’influenza esercitata su quelle zone da Putin. Ecco perché i nostri amici ci dicono che, fondamentalmente, se Putin dovesse vincere questa guerra, la situazione attuale nel Donbass diventerebbe la situazione generale in tutta l’Ucraina. Nessuna possibilità di organizzazione sindacale e nessuna libertà democratica.
Ovviamente sappiamo che la democrazia ucraina non è un modello ideale, così come le democrazie liberali non lo sono in nessuna parte del mondo. Ma questi tipi di regimi sono certamente meglio di una dittatura esplicita. Perciò pensiamo che l’unica opzione percorribile per la classe lavoratrice ucraina, nelle condizioni attuali, è quella di vincere la guerra. E per farlo, pensiamo che sia necessario sostenere e rafforzare la resistenza dei lavoratori.
Ma non rischia di essere velleitario contro un esercito così potente come quello russo?
Molti ci dicono che siamo dei folli a pensare questo. Eppure, il motivo per cui l’esercito di Putin si è ritirato da una parte del territorio ucraino è perché la resistenza si è rivelata forte e agguerrita. È molto chiaro che il popolo ucraino non ha nessuna voglia di abbandonare il proprio paese nelle mani del leader russo. D’altra parte, l’esempio del Vietnam ci dimostra come sia possibile battere l’imperialismo. Ecco perché siamo contro la guerra, contro l’aggressione russa, contro anche gli interessi dell’imperialismo occidentale ma allo stesso tempo pensiamo che sia importante rafforzare la resistenza ucraina con invio di armi, di aiuti, di cibo e materiale sanitario affinché il popolo possa vincere questo conflitto. Pensiamo inoltre che sia importante sostenere tutte le mobilitazioni di protesta contro l’aggressione che avvengono in Russia, in Bielorussia e in ogni parte del mondo per mettere pressione a Putin.
Appoggiare la resistenza significa di fatto appoggiare lo stato ucraino, che generalmente non porta avanti gli interessi della classe lavoratrice, e addirittura appoggiare gruppi di estrema destra…
In una situazione di conflitto unilaterale e di aggressione che dobbiamo affrontare, l’unità della classe operaia è necessaria. Penso che una guerra sia un momento in cui c’è bisogno di combattere insieme ad altri gruppi, anche se ci sono divisioni politiche molto profonde con loro. Se il tuo paese è sotto l’occupazione di una forza straniera, la classe operaia deve unirsi alla resistenza, ma senza fidarsi ciecamente del governo, poiché ogni governo capitalista ha odio di classe. E una cosa è difendere il proprio territorio e la propria sovranità, un’altra è difendere un governo o gruppi di destra. Devi combattere contro l’occupazione e anche usare le armi in mano per difendere i tuoi diritti come classe operaia.
Questo a maggior ragione nel contesto attuale: a fine marzo, il governo ucraino (in piena guerra!) ha approvato una legge fortemente lesiva dei diritti di lavoratori e lavoratrici. Si tratta chiaramente di un gesto inaccettabile e assurdo, se pensiamo che una buona parte di persone che stanno resistendo all’invasione russa sono membri della classe lavoratrice e stanno dunque difendendo indirettamente quello stesso governo che approva leggi contrarie ai propri interessi. Nel mentre che si combatte, è dunque necessario mostrare e denunciare queste contraddizioni. Non è che perché siamo impegnati nella stessa lotta, allora i contrasti interni scompaiano. Ed è proprio per questo motivo che difendiamo il diritto di lavoratori e lavoratrici a imbracciare le armi: perché in questo modo stanno lottando contro l’invasore e allo stesso tempo possono lottare per i propri diritti in seno alla società di cui fanno parte.
Pensiamo alla seconda guerra mondiale in Francia: fu dopo la vittoria contro l’occupante nazista e dopo la riconsegna delle armi da parte dei lavoratori al governo che quest’ultimo aumentò la repressione verso la classe operaia. Anche durante la guerra delle Malvinas, alcuni membri della classe lavoratrice chiesero le armi addirittura allo stato argentino, che a quel tempo era una feroce dittatura, per resistere all’invasione e avere così pure maggiore voce in capitolo nei processi interni. Oppure ti faccio un esempio nel presente: quando Zelensky ha approvato la legge che menzionavo prima, è successo in realtà che imprese e compagnie multinazionali si sono rivelate molto restie a metterla in pratica proprio perché hanno paura della forza di lavoratori e lavoratrici che in questo momento sono armati.
Come ci si può muovere allora dal punto di vista internazionale? Credi sia possibile una sorta di “alleanza trasversale” fra classe operaia dell’Ucraina e quelle di Russia e Bielorussia?
Ci sono molti modi di sostenere la resistenza di lavoratori e lavoratrici in Ucraina. Una di queste è creare delle carovane di solidarietà, nonostante sia molto difficile inviare materiale nel paese sotto attacco. A ogni modo, è quanto proveremo a fare noi dopo l’incontro di Digione per consegnare i nostri aiuti a rappresentanti del sindacato dei minatori di Kryviy Rih con cui siamo in contatto. Dall’altra parte ci sono altri esempi di partecipazione internazionale alla lotta e alla resistenza, come il boicottaggio messo in atto dai sindacati statunitensi e inglesi dei Dockworkers.
Abbiamo anche vari contatti in Bielorussia, che si sono creati a partire dalle proteste del 2020, i quali ci confermano come la maggioranza di lavoratori e lavoratrici che stanno sotto il regime di Lukashenko sono contrari alla guerra. Esiste dunque già una forma di solidarietà fra classe operaia ucraina e bielorussa e credo sia di massima importanza provare a creare legami e alleanze in questo senso. Dall’altra parte, la situazione sembra un po’ diversa per quanto riguarda la Russia: lì chiaramente il governo esercita un controllo sui sindacati che, in linea di massima, appoggiano l’”operazione speciale”. In definitiva, allora, la nostra posizione è la seguente: provare a costruire un’alleanza trasversale e un fronte unito con le sigle sindacali di ogni paese che si oppongono alla guerra e, allo stesso tempo, porre pressione affinché quelle realtà sindacali che invece sono ancora “vacillanti” prendano una posizione fermamente contraria all’invasione.
12 – NELLA RESISTENZA UCRAINA L’INDIPENDENZA DEGLI OPERAI
12 APRILE 2022
Contro la generica denuncia umanitaria della guerra, a fianco degli operai che resistono armi in pugno all’imperialismo russo e mondiale, affrontiamo il problema centrale di oggi: un partito indipendente degli operai in ogni paese.
Certo che come operai siamo messi proprio male. Senza un’organizzazione propria e indipendente, attaccati al carro della piccola, media e grande borghesia, ci portano dove vogliono loro. In tempi di affari, al di là della nazione di appartenenza, per le classi borghesi non esiste la patria se non per favorire i propri interessi e poter vendere nella propria madre patria i propri prodotti che gli operai producono per poter avere in cambio una manciata di soldi che servono appena per sopravvivere, cosa sempre più difficile. Quando per la borghesia le cose non vanno come vorrebbero e il loro potere economico rischia di essere messo in pericolo da altri borghesi, i borghesi delle nazioni imperialiste più forti non esitano ad invadere le nazioni in mano ai borghesi più deboli per costringerle nelle loro sfere di influenza ed arrivare a prendere tutto quello che poi gli sarà possibile per aumentare il potere anche su altri stati imperialisti.
Ovviamente le armi non vengono imbracciate dai ricchi, che si spartiranno il bottino dopo aver vinto, ma dagli eserciti messi in piedi dalla borghesia per la propria tutela, dai poveri, dagli operai, dai contadini, che, o vengono spinti a massacrarsi fra loro nelle guerre imperialiste, o sono costretti dagli eventi a prendere parte ai movimenti di resistenza contro gli oppressori. Moltissime volte non avendo ben chiaro che la piccola, media e grande borghesia che trovano dalla propria parte in quel momento, spesso solo a chiacchiere e senza rischiare la pelle tenendosi ben lontani dal fronte, sono i nemici di ieri e se non saranno messi sotto dagli operai armati saranno i nemici di domani.
Gli operai, in verità, dappertutto vengono coinvolti a difendere una patria governata dalla borghesia che non gli ha dato niente altro se non la possibilità di essere degli sfruttati, e anche se gli operai cambiassero patria non cambierebbe quasi niente se non il livello di sfruttamento sempre aumentato con il tempo dalla borghesia. Gli operai vengono coinvolti in guerre che non sono la loro guerra di classe, la guerra che dovrebbero fare è quella ai loro sfruttatori, ma negli eventi si rendono conto che di fronte all’aggressione di chi non si fa problemi ad ammazzarli e a distruggergli tutto quel poco che sono riusciti a mettere in piedi non possono far altro che difendersi e partecipare attivamente alla resistenza.
Gli operai a prescindere dalla propria decisione alla partecipazione diretta alla resistenza antimperialista dovrebbero chiedere il conto ai loro borghesi per le loro dirette responsabilità. Mentre i ricchi borghesi dai teatri di guerra si allontanano, scappano, cercano di mettersi al sicuro, gli operai, i lavoratori poveri, i contadini combattono casa per casa, costruiscono le barricate, difendono le città.
Gli operai possono maturare, durante la lotta e durante la resistenza all’invasione imperialista, la consapevolezza che possono fare a meno della borghesia e possono arrivare alla loro completa e possibile liberazione dallo sfruttamento, nonostante davanti alle telecamere gli elementi dei comitati d’affari della borghesia, i borghesi ben lontani dal pericolo, tentano di fare il doppio gioco e se incitano la resistenza è solo per non perdere il proprio ruolo e a guerra finita avere la propria parte negli affari che si faranno su un paese raso al suolo, mentre le telecamere riprendono i corpi di quelli che al sicuro non stanno e ci hanno lasciato la pelle.
Gli operai dovrebbero essere per la resistenza degli operai ucraini sapendo che è ben altra cosa della partecipazione alla resistenza delle classi sociali superiori che vi partecipano a chiacchiere, senza imbracciare i fucili, il più lontano possibile dalle armi che li potrebbe fare fuori, ma che hanno in mente ben altri interessi e che non vedono l’ora che finisca per ritornare a sfruttare gli operai ancora di più di quanto l’hanno già fatto. Se gli operai partecipano con la lotta alla resistenza contro il paese imperialista invasore che li ammazza sarà più facile fare i conti con la propria borghesia, perché con la lotta e la guerra moltissime volte si prende coscienza e di tanto. In questa guerra c’è chi utilizza Lenin a proprio piacimento, calandolo a piombo nei propri ragionamenti, cercando di farne strumento delle proprie ragioni, elementi che non appartengono alla classe operaia ma che ne rivendicano l’appartenenza senza viverne le condizioni. Gente che non riconosce agli operai nessun possibile movimento indipendente sia nel corso di una guerra di resistenza contro l’oppressione di un soggetto imperialista più forte della propria borghesia nazionale, sia non riconosce agli operai nessun possibile movimento indipendente fuori dal teatro di guerra, senza il loro aiuto e ammaestramento. Vedere attaccare gli operai che scrivono come è stato fatto ad E.A. da parte di chi operaio non è, solo perché sostiene la resistenza degli operai ucraini contro l’imperialismo russo inquieta e non poco, si intuisce subito che è meglio non avvicinarsi troppo a questi soggetti perché si avverte che non c’è nulla di buono. Molti sono gli elementi che si nascondono dietro il paravento della causa operaia, ma che degli operai ne vogliano fare solo massa di manovra. Se ci mettessimo un attimo nelle vesti degli operai ucraini ci renderemmo conto davvero come saremmo messi male anche noi in una situazione senza un’organizzazione propria e indipendente e capiremmo realmente come stanno le cose: da una parte c’è Putin che con i suoi carri armati ci attacca e se ne fotte di noi operai, dall’altra parte c’è Zelensky che cerca di usarci per difendere il suo potere. La speranza è quella che gli operai ucraini possano resistere all’invasione da parte dell’esercito russo, e possano nello stesso tempo iniziare a ragionare come poter mettere da parte il borghese Zelensky, prendere il potere e il controllo del paese. Fuori dalla Nato, fuori dalla Russia, fuori da qualsiasi sistema di sfruttamento.
Crocco, operaio di Melfi
11 – GLI OPERAI NELLA RESISTENZA
10 APRILE 2022
Ricordando in questi giorni di Aprile la resistenza degli operai al nazifascismo, ci auguriamo che gli operai ucraini non perdano l’occasione, che a noi fu rubata, di ricostruire la loro società su nuove basi, senza sfruttamento, dal momento che armi alla mano stanno resistendo all’invasione dell’imperialismo russo.
A più di un mese dall’inizio dell’invasione russa nei territori ucraini, l’opinione pubblica spazia a trecentosessanta gradi per trovare i reali motivi che hanno portato l’imperialista Putin a compiere questo scriteriato gesto. A tutte le ore e su tutte le reti, fossimo a reti unificate, conduttori e giornalisti nei caldi studi televisivi o nelle loro accoglienti case, sbriciolano motivazioni a getto continuo cercando di accaparrarsi quella più originale, sempre restando fedeli all’ordine strutturale costituitosi in questa società. Gli argomenti destinati ad un vasto palcoscenico sono i classici a cui fa riferimento l’establishment politico borghese e a cui fanno riferimento gli speculatori i quali sono pronti ad accaparrarsi qualsiasi trofeo che questa o quella o quell’altra sporca guerra offre. Morti atroci sotto i bombardamenti ed esodi biblici colpiscono ora gli ucraini, ma hanno colpito in passato gli afgani, i ceceni, i siriani e molti altri popoli. Comunque basta scandalizzarci per la distruzione, per le deportazioni, per le morti, la guerra è la guerra, quando viene innescata è perché le merci giacciono invendute nei magazzini e la sua apertura rivitalizza numerosi settori pronti ad “affilare i coltelli”.
Senza scomodare i sentimenti perché chi perde tutto e questo tutto è il frutto di una vita di duro lavoro mal pagato o magari della propria vita, non ha bisogno di misericordia e pietà ma di azioni che devono determinare la demolizione dell’ordine precostituito instaurato nelle varie realtà, dove distruzione, sottomissione e normalizzazione diventano fatto compiuto.
E considerando che in Ucraina gli operai formano una buona fetta indipendente della resistenza contro l’esercito dell’imperialista Putin, in una fase di mutamento positivo dello scontro, questa volta invece di ascoltare le promesse di cambiamento radicale nella loro condizione sociale, proponessero un nuovo corso , qualcosa che produca un nuovo tipo di società, non più basata sul plusvalore, ma basata sui bisogni reali del popolo che loro rappresentano, come la recepirebbero gli oligarchi occidentali inseriti nelle liberal social democrazie europee e mondiali?
In Italia una fase simile si ebbe durante la seconda guerra mondiale, quando a combattere i nazifascisti entrarono in campo nella resistenza gli operai delle grandi fabbriche, i quali con grandi sacrifici e determinazione sconfissero il prodotto di una decadente società. E qui si perse una grande occasione di capovolgere il sistema, illusi di poter con il riformismo cambiare la società, gli operai si accorsero solo dopo pochi anni che la borghesia statale e i padroni con il ritorno al controllo sistematico dei mezzi di produzione avevano ripreso il controllo totale del capitale e dello sfruttamento su larga scala.
Come operai, come classe sociale sfruttata, il nostro dovere di tutti i giorni è ricordare la resistenza degli operai ucraini, i loro sacrifici e la loro autodeterminazione, proponendo nelle fabbriche una forma di resistenza collettiva contro lo storico aggressore di turno, vigilando che, in un contesto di riproposta della grande occasione storica, questa volta non venga sprecata.
Un operaio della INNSE
10 – SOSTENERE LA RESISTENZA UCRAINA. RESISTERE ALL’ATTACCO DEI SALARI
07 APRILE 2022
Dirigenti sindacali imbalsamati, equidistanti fra imperialisti e nazioni oppresse, bombardate e massacrate, non sostengono la resistenza ucraina e nello stesso tempo non difendono i salari operai. Sono due facce della stessa politica.
Caro Operai Contro, mentre gli operai con la resistenza ucraina da 45 giorni combattono eroicamente contro l’aggressione dell’esercito di Putin, in Italia, a parte qualche sciopero e manifestazioni locali, nessun sindacato ha finora dichiarato in loro sostegno, uno sciopero importante in tutto il paese. Segno che gli interessi della guerra di Putin hanno radici e diramazioni profonde, lunghe e articolate? Altrimenti i sindacati cosa aspettano a indire mobilitazioni contro la guerra e a sostegno della resistenza ucraina? Cosa aspettano a muoversi decisamente di fronte a un inflazione che in Italia a marzo 2022 è arrivata al 6,7%?
Dagli scaffali del supermercato e soprattutto dallo scontrino alla cassa, pur avendo scelto i prodotti con l’occhio ai prezzi, si ha la netta sensazione che i rincari siano più alti del 6,7%. Anche perché c’è da aggiungere caro bollette, carburante, vestiario, sanità, scuola, trasporti, ecc. tutto ciò che non rientra nel carrello della spesa.
Il 21 marzo 2022 Altroconsumo rileva alcuni aumenti medi registrati da quando, un anno fa, è partita la spirale dei rincari: olio di semi di mais e di girasole + 19%, verdura + 17,8%, pasta di semola + 14%, farina “00” +11%, olio extra vergine di oliva + 9%, frutta + 8,1%, zucchero +7%, pesce + 6%, passata di pomodoro +4%, latte a lunga conservazione + 3%.
L’Unione Nazionale Consumatori in base ai nuovi prezzi, ha calcolato che per una famiglia con 2 figli ci vorrebbero 2.600 euro in più all’anno, pari a 216 in più al mese. Dove prenderli?
I padroni nelle banche ne hanno accumulati tanti, e oggi lo spazio per reinvestirli come intendono loro, è tutto occupato. Sperano che la guerra in Ucraina apra loro nuovi mercati o prospettive in tal senso.
Per ottenere aumenti salariali bisogna come prima regola rivendicarli. Il sindacato sta facendo pressione sul governo (non se ne conoscono i termini) per “migliorare” i contratti dei lavoratori precari. Ma né il sindacato, tantomeno Bonomi/Confindustria vogliono sentir parlare del salario minimo per legge, e nessun partito di governo ha fiatato quando Draghi l’aveva fatto sparire nella versione finale del Pnrr.
Nel frattempo, operai e assimilati con contratti “non precari”, che come visto hanno una perdita del potere d’acquisto di migliaia di euro l’anno, si trovano su un piano inclinato che scivola verso il precariato. Molti, precari lo sono già, e da tempo fanno parte dell’affollata famiglia dei poveri.
Il termine è poco elegante e il Corriere della sera in prima pagina spiega che i “poveri” è più moderno chiamarli “diseguali” e precisa le figure che rientrano in questa definizione. I diseguali sono: “gli operai, gli impiegati a bassa qualifica, i disoccupati, i precari, i meno abbienti, le finte partite Iva”.
Chiamandoli diseguali i poveri spariscono. In Ucraina con la guerra finiscono realmente nelle fosse comuni, in Italia un artifizio linguistico, pur non eliminandoli fisicamente, funziona da fosse comuni in tempo di “pace”.
L’azione del sindacato sul versante dei salari, deve tener conto della nuova situazione, data dalla grave perdita del potere d’acquisto, (che non riguarda solo i contratti precari) senza aspettare che l’inflazione arrivi a 2 cifre (in Spagna poco ci manca è già al 9,8%, in Germania al 7,3%, negli Stati Uniti al 7,9%).
Senza le mobilitazioni operaie non sarà possibile recuperare il potere d’acquisto dei salari. Le lamentele del sindacato senza la lotta si perderanno nelle ampie stanze di Palazzo.
Un primo riscontro sull’andamento dei consumi con i salari erosi, arriva dal direttore Ufficio studi C.A. Buttarelli della Federdistribuzione, che lancia l’allarme di un calo dei volumi di vendita del 3% nella Grande Distribuzione.
Il suo omologo di Confcommercio riportando il lamento dei negozi più piccoli, riconosce che senza il ripristino del potere d’acquisto dei salari: “Ci aspettiamo che lo scontrino medio delle famiglie diminuisca di 1.700 euro all’anno” (Sole 24 ore 3 aprile 2022).
Scusate se è poco ma è solo l’inizio dicono gli analisti. Primo perché alcuni aumenti all’ingrosso di materie prime e alcuni prodotti, non sono ancora arrivati sui prezzi al consumo. Secondo perché essendo Russia e Ucraina i maggior produttori ed esportatori di grano e mais, gli effetti della guerra potrebbero provocare una crisi alimentare globale, accompagnata da una nuova recessione economica.
Saluti
Oxervator.
9 – RISPOSTA ALL’ULTIMO ARTICOLO APPARSO SUL SITO “COALIZIONE OPERAIA” DAL TITOLO “LA GUERRA IN UCRAINA E LA QUESTIONE NAZIONALE NELL’EPOCA DELLA MATURAZIONE IMPERIALISTICA”
3 APRILE 2022
Già il nome Rostrum con cui si firmano rimanda a qualcosa di mostruoso, leggendo poi i loro articoli la mostruosità è tangibile, e se Lenin fosse in vita oggi dedicherebbe a Rostrum il massimo disprezzo nel rispondergli, come meritano i filistei, così li chiamava Lenin, e chi fa caricatura del marxismo. Anzitutto questi che nelle loro precedenti uscite avevano fatto professione di sbrindellati principi internazionalisti, indicando che l’unica via d’uscita per il proletariato ucraino era la fuga, la resa, e qualsiasi partecipazione attiva alla resistenza all’invasione dell’imperialismo russo sarebbe stato un inutile coinvolgimento in un conflitto, che lo avrebbe tenuto al traino delle istanze borghesi di libertà e unità nazionale, adesso ripescano frettolosamente qualche testo di Lenin e parlano per la prima volta, dopo svariati articoli e a 40 giorni dall’invasione russa in Ucraina, del principio di autodecisione delle nazioni (benvenuti!), mostrando (perfino!) un qualche interesse per le sorti del proletariato ucraino ma, nel tentativo di interpretarli a sostegno della loro tesi, commettono errori ancora più grossolani di quanto non abbiano già fatto in precedenza. Così questa coraggiosa operazione di arrampicata sugli specchi finisce per essere necessariamente confusa e trattare la questione complessa dell’autodecisione con qualche furbata lessicale e risvolti meccanicisti e liquidatori del tipo: “l’autodecisione delle nazioni è sempre subordinata, per il socialismo rivoluzionario, agli interessi della classe proletaria”. Il “subordine” esiste (benvenuti anche su questo!), non a caso chi non aveva la necessità di rimestare tra opuscoli e documenti, “il tale E.A.”, su questo giornale ha posto fin dall’inizio la questione ucraina sia nei termini del diritto all’autodeterminazione sia nei termini di come il proletariato ucraino potesse farsi largo in questo scontro, ma dentro un ragionamento più articolato, che presuppone passaggi precisi che i nostri detrattori volutamente non guardano per portare acqua al loro mulino che gira tra enunciazioni astratte e negazioni pratiche, enunciano e negano, per arrivare ad identificarsi con un indifferentismo annessionista.
Facciamo chiarezza: il principio della piena uguaglianza di diritti tra nazioni, che passa per il riconoscimento del diritto di autodecisione delle nazioni, permette la più stretta unione del proletariato di tutti i paesi. Chi tiene all’internazionalismo proletario non può eludere con parole vaghe e ambigue il diritto di autodecisione delle nazioni, e se lo sostiene, deve essere conseguente nella sua politica, sostenere cioè attivamente il diritto di ogni nazione di decidere essa stessa delle proprie sorti, riconoscerlo e sostenerlo, entro questa attività dialettica noi guardiamo le possibilità del proletariato della nazione oppressa e della nazione dominante di rafforzare il proprio legame e la propria lotta, e di opporsi ad ogni esclusivismo e privilegio che anche la borghesia del paese oppresso, impegnata nella lotta per l’indipendenza, cercherà di conquistare. Cercherà di usare la forma democratica del suo potere, una volta conquistata l’autodeterminazione, per ristabilire il suo dominio sugli operai e sui lavoratori in generale. Ma è qui che si apre la possibilità reale di una lotta per il potere delle classi subalterne che armi alla mano hanno preso parte al movimento di liberazione. È in questa realtà, nel distinguo tra noi e loro, noi proletariato, loro borghesia, che la classe operaia affronta i passaggi necessari per la sua emancipazione e si educa alla lotta rivoluzionaria. Il veleno nazionalista che la borghesia sparge in ogni conflitto, e naturalmente anche in quello nazionale, non può portarci a chiudere gli occhi sull’oppressione e la violenza scatenata dal paese dominante, e solo in questa lotta il proletariato affianca la sua borghesia, per combattere con la stessa risolutezza il suo nazionalismo. Nella guerra per l’indipendenza politica gli interessi del proletariato e quelli della sua borghesia convergono e confliggono, convergono dal lato della lotta contro la borghesia della nazione dominante e confliggono dal lato del nazionalismo e degli interessi nazionali che sono interessi esclusivi della propria borghesia. Chi non tiene conto di questa dinamica e allontana da sé con lo spauracchio del nazionalismo il principio dell’autodecisione delle nazioni, non solo non guarda agli interessi del proletariato internazionale, ma è il miglior complice dell’imperialismo dominante, un servetto sciovinista. Per questi motivi Lenin si spinge a dire, senza il timore di perdere le coordinate della rotta internazionalista, che nelle circostanze delle guerre per l’indipendenza economica e politica, è un intero popolo a ribellarsi, a muovere guerra o a difendersi nella guerra, nella sua composizione necessariamente interclassista diremmo oggi, con i distinguo di cui sopra, e che non è sbagliato, anzi necessario, in queste circostanze, parlare di “difesa della patria”, concetti che gli internazionalisti evangelisti di casa nostra taccerebbero immediatamente come tradimento delle sacre scritture ispirate al loro astratto e ipocrita internazionalismo proletario. Ma gli manca il coraggio che altri anticomunisti di sinistra hanno di attaccare direttamente Lenin come difensore della patria dei paesi oppressi.
Dicono i coalizionisti, pur ammettendo l’autodecisione delle nazioni (che nel loro caso resta tuttavia un’enunciazione vuota di senso politico) nell’attuale guerra in Ucraina questo aspetto è del tutto marginale, perché prevarrebbe lo scontro imperialistico tra due fronti.
Del tutto marginale? Allora sono veramente dei rostrum!
Lenin dice: la guerra è la continuazione della politica. Per analizzare le caratteristiche di un conflitto e capire se esso ha natura imperialistica o nazionale, bisogna valutare la politica. La politica che ha preceduto quel conflitto, la politica che ha portato a quel conflitto. Gli evangelisti dell’internazionalismo si vede che conoscono poco e niente di quello è successo in Ucraina negli ultimi trent’anni. I movimenti nazionali in Ucraina sono scoppiati immediatamente dopo la dichiarazione d’indipendenza del paese a seguito della disgregazione dell’URSS, perché si trattava di un’indipendenza formale, incompiuta, sia dal punto di vista economico, ma soprattutto dal punto di vista politico. Come giudicano gli internazionalisti le rivolte che ci sono state nel 2008 in Ucraina, la cosiddetta rivoluzione arancione, che portò alla prima destituzione del governo filo russo, e che ha rappresentato in Ucraina quello che le cosiddette rivoluzioni di velluto hanno rappresentato per i paesi dell’Est Europa alla fine degli anni 80 per liberarsi dal giogo russo? E come giudicano quello che è accaduto nel 2014 con le rivolte di piazza Maidan? Il paese in oltre trent’anni è stato costantemente attraversato da movimenti per l’indipendenza politica nazionale tesi a liberarsi dei clan politici scelti da Mosca. Questo è il retroterra preciso, concreto e storico, che ha portato all’invasione russa del febbraio scorso. E su questo dovrebbero ragionare i «coalizzati senza operai» che parlano di guerra imperialista.
Si dirà: ma l’intervento strumentale di altri paesi imperialisti europei o dell’alleanza Nato è incontestabile, hanno un ruolo attivo nella guerra in Ucraina, e questo denota il carattere imperialista del conflitto in corso. Certo, c’è sempre stato l’intervento di paesi terzi che hanno tentato di profittare dell’instabilità politica in Ucraina e dei moti nazionali che sono sorti per attrarre l’Ucraina nella loro sfera di influenza economica e politica. E il ruolo attivo da parte di questi paesi è presente anche oggi. Ma rispondiamo, ancora, con Lenin: l’intervento di altri paesi imperialisti in una guerra di carattere nazionale non deve portarci a negare il carattere nazionale di quella stessa guerra, in quanto la dinamica di scontro tra paese dominante e paese oppresso permane, nonostante l’intervento attivo di altri paesi imperialisti. Ed è esattamente quanto sta accadendo oggi in Ucraina. Nonostante queste evidenze storiche i “coalizionisti senza operai” negano che la guerra in Ucraina abbia il carattere di una guerra per l’indipendenza politica e democratica. Inoltre Lenin, rispondendo a chi gli contestava che nell’epoca imperialistica fosse sbagliato parlare ancora di autodecisione delle nazioni, proprio come fanno questi saltimbanco, afferma che appigliarsi “all’epoca” è non dire niente. Nella nostra epoca l’imperialismo è dominante, ma dato lo sviluppo ineguale del capitalismo nelle varie regioni del mondo, non possiamo negare che possano svilupparsi ancora guerre di carattere nazionale, e in effetti nel secolo scorso abbiamo tantissimi esempi: la questione irlandese si è protratta fino alla fine del Novecento ad esempio, le regioni delle ex-repubbliche sovietiche sono costantemente in tensione per lo sviluppo di movimenti nazionali, dalla Cecenia, alla Georgia, all’Ucraina, poi abbiamo il caso palestinese, con delle sue peculiarità, quello curdo, nazione negata all’interno delle frontiere di tre Stati, l’invasione dell’Afghanistan, prima da parte dei russi, poi ad opera degli americani etc. Lenin escludeva che guerre di carattere nazionale si potessero ancora sviluppare nei paesi progrediti, imperialisti dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, dove i tempi erano maturi per la rivoluzione socialista, ma in altre regioni del mondo, dove il processo democratico era incompiuto, le guerre di carattere nazionale sarebbero state all’ordine del giorno, perfino dopo l’avvento di una possibile rivoluzione socialista nei paesi più sviluppati. Il mostruoso internazionalista Rostrum ha deciso che poiché siamo nell’epoca dell’imperialismo, le guerre nazionali non esistono e non esisteranno più, dovendo quindi piegare la realtà alle sue convinzioni teoriche bislacche, deve necessariamente negare quanto sta accadendo in Ucraina non già adesso, ma da almeno 30 anni! Negare perfino che in Ucraina non si sia mai sviluppato un processo democratico compiuto, indipendente, libero, e che questo ritardo sia indissolubilmente legato alla storia del Novecento e all’URSS che ha inevitabilmente ritardato il processo di emancipazione di quel paese come degli altri paesi di quell’area (vuoi vedere che gratta gratta sotto la scorza di questi duri internazionalisti ci troviamo degli inconsapevoli sciovinisti e difensori inconsapevoli dell’autoritarismo sovietico?). L’implacabile Rostrum negherà forse ancora questa circostanza quando prossimamente assisteremo allo scoppio di altre guerre di carattere nazionale, ad esempio la più che probabile aggressione militare della Cina a Taiwan, perché lui e la sua corrente hanno deciso che l’imperialismo dominante nega lo stato di asservimento politico in cui si trovano decine di nazioni nel mondo.
Maliziosamente, da infimi opportunisti quali sono, recuperano le parole di Lenin sulla necessità di tramutare la guerra imperialista in guerra civile, in scontro con la propria borghesia da parte del proletariato, nella guerra imperialistica o nelle guerre tra Stati progrediti, guerre di rapina, di spartizione di bottino, di conquista o difesa di mercati, per dimostrare che in Europa oggi sta accadendo questo. In Europa e quindi – aggiungono – anche in Ucraina. Quindi anche in Ucraina? E questo sarebbe un metodo di analisi marxista? E quali sarebbero le basi economiche e politiche che caratterizzano quindi la guerra imperialista da ambo le parti? Non fanno uno straccio di analisi al riguardo e a sostegno della loro teoria, inanellano solo una serie di citazioni carpite in modo dissennato e fraudolento per adattare la realtà storica e politica dell’Ucraina ai dogmi della loro corrente. Che straccioni! Del resto Lenin non ha mai negato, quello che invece loro vorrebbero far apparire come già presente in mezzo a noi, cioè le caratteristiche di una guerra imperialistica tra Stati, anzi a più riprese sottolinea che una guerra nazionale può tramutarsi in una guerra imperialistica, e se pure ciò dovesse avvenire, e noi non escludiamo che possa avvenire per il caso ucraino, questo non nega la giustezza delle posizioni assunte quando quel conflitto, per ragioni storiche, politiche ed economiche ben precise, in considerazione dello sviluppo della politica di quei paesi, aveva le caratteristiche di una guerra per l’indipendenza nazionale.
Un’altra perla del loro scritto: “È innegabile che anche nella guerra in corso in Ucraina si presentino degli elementi di oppressione nazionale, anzi, questi elementi si manifestano con il procedere di qualsiasi guerra imperialista”. Sono proprio dei burloni, ravvisano degli elementi di oppressione nazionale, anche se si guardano bene dal dire quali e in quali circostanze si siano sviluppati (che sono gli elementi? Forse il controllo politico totale su quel territorio, l’innesto di governi fantoccio che rispondessero ai diktat di Mosca e ai sovrapprofitti della borghesia russa, la reiterazione di elezioni farsa con dei palesi brogli? E questi elementi non caratterizzano forse il grado di oppressione e sottomissione politica in cui versa quel Paese?) ma al contempo, nonostante la presenza di questi elementi – indefiniti per loro – negano che ci siano le caratteristiche di un’oppressione nazionale in questo conflitto. E quindi dovrebbero spiegarci da quali circostanze storiche e politiche trae origine questo conflitto, perché se non lo fanno – e infatti non sono in grado di farlo – tutto quello che sostengono nel loro articolo porta alla conclusione che, posti questi elementi di oppressione nazionale, siamo in presenza di una guerra di tipo nazionale.
E il carattere di una guerra nazionale è ben distinto da quello di una guerra imperialista in cui – dice Lenin – i fronti contrapposti entrano in guerra per la spartizione del bottino, per decidere con la violenza militare quale dei due fronti avrà la meglio sul numero delle nazioni oppresse da sfruttare. Sono molteplici i passaggi in cui Lenin differenzia le caratteristiche di una guerra per l’autodecisione nazionale da quella imperialista, e per questo motivo, solo chi tenta una scellerata operazione di revisionismo opportunistico può citare Lenin per affermare delle tesi che Lenin stesso ha puntualmente smentito!
Continuano: “altrettanto innegabile è che il carattere predominante di questa guerra non è quello di una lotta di “liberazione nazionale”, perché la libertà economica e politica dell’Ucraina era assai relativa anche prima dell’invasione russa e sicuramente non si libererà dal dominio imperialista con la sconfitta del solo imperialismo russo”. Qui siamo all’apoteosi dell’idiozia, di chi fa delle affermazioni senza avere la minima capacità di accorgersi che queste affermazioni sono la precisa negazione della tesi che sta tentando con una fatica puerile di portare avanti. Affermano che non si può trattare di una guerra d’indipendenza nazionale perché le libertà economiche e politiche dell’Ucraina erano assai relative anche prima dell’invasione russa. Niente meno che forse sono arrivati a capire per quale motivo abbiamo una forma incompiuta e arretrata di democrazia in Ucraina? Le libertà erano relative in Ucraina? E perché erano relative? A quale nazione l’Ucraina era asservita sia economicamente che politicamente? A quale nazione è stata asservita in tutto il Novecento? E se questo grado di asservimento non ha mai consentito che si sviluppassero libertà democratiche piene e compiute, tant’è che le definiscono “relative”, allora come si può negare che il movimento che attraversa l’Ucraina da trent’anni contro l’oppressione russa sia un movimento d’indipendenza nazionale? Dicono che non tutto è cominciato con l’invasione russa. Bravi. Infatti la guerra è la continuazione della politica. E all’invasione giungiamo proprio perché il paese dominante, la Russia, non tollera e non riesce più a contenere con altri mezzi politici le spinte indipendentiste che in questi anni sono sedimentate ed esplose nel paese oppresso e che si sono necessariamente collegate anche agli interessi di paesi terzi. Ci sarebbe ancora molto da scrivere sul mostruoso Rostrum, ma meglio smetterla qui con questi falsificatori del marxismo!
A. B.