STORIA DEI CIOMPI, OPERAI IN FIRENZE NEL 1300
di
Maurizio Borgonovo
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Nelle conversazioni al presidio alla fabbrica INNSE, forse non per caso, sono tornati alla memoria i Ciompi di Firenze, brevemente accennati nei libri di scuola. Che il loro spirito, incuriosito da questa resistenza operaia, si sia manifestato per solidarietà? Ho approfondito la storia e provo a raccontare quel che ho scoperto.
La Firenze del 1300, il secolo dei Ciompi, era una città commerciale che intratteneva rapporti in tutta Europa e nei territori del Medio Oriente occupati dai Crociati.
Il commercio più importante era quello dei panni di lana, di buona qualità, la cui produzione occupava circa il 25% dell’intera popolazione di 90.000 abitanti fino al 1348 quando la peste dimezzò il numero dei cittadini.
Nella seconda metà del 1300 i lavoranti della lana arrivarono a contare 9000 persone distribuite in 279 luoghi di lavoro; buona parte erano gli operai addetti alla cardatura e pettinatura, operazioni che richiedevano molta mano d’opera. Erano i Ciompi.
Altri 4000 operai circa lavoravano per le altre industrie: filature della seta e tutte le operazioni commerciali, edili, artigianali e botteghe che formano il tessuto economico di una città.
L’inizio del commercio di pezze di lana risale al 1100 quando i fiorentini compravano nello Champagne e nelle Fiandre; la manifattura era iniziata nel 1200 quando il Comune, sotto l’influenza dell’Arte della Lana cioè la Corporazione dei grandi mercanti, aveva invitato l’Ordine degli Umiliati, che rasentavano l’eresia, ad installare officine laniere in Firenze.
Le fasi del ciclo produttivo erano distribuite fra laboratori e opifici situati lungo l’Arno e altri torrenti (alcuni passano ancora sotto Firenze) ed erano proprietà di artigiani o piccoli imprenditori (oggi li si potrebbe chiamare piccoli industriali) impegnati a lavorare per conto dei grandi mercanti che fornivano loro la lana grezza (origine Spagna, Inghilterra, Nord Africa). Gli operai erano assunti in tali siti con paghe giornaliere e impegno a lavorare a giornata o per periodi più lunghi a seconda del tipo di lavoro richiesto.
I grandi mercanti, detti “popolo grasso”, tramite la propria corporazione, l’Arte della Lana, imponevano le condizioni commerciali ai loro fornitori, anch’essi membri della corporazione e in posizione di dipendenza dai primi: la Corporazione definiva i prezzi di trasformazione, i termini di pagamento ( a volte rate fino a 5 anni !).
Artigiani e piccoli imprenditori, oltre che i loro operai, per poter lavorare dovevano essere iscritti alla Corporazione. Così i mercanti ed i grossi imprenditori lanieri curavano i propri affari direttamente o tramite la Corporazione stessa: il ciclo produttivo era distribuito in una manifattura disseminata sul territorio (la centralizzazione della produzione in fabbrica sarebbe arrivata solo secoli dopo in Inghilterra con la macchina a vapore); i mercanti lucravano anche sull’importazione delle materie prime e l’esportazione dei prodotti finiti.
Le Corporazioni, in particolare l’Arte della Lana, erano anche delle potenti cinghie di trasmissione degli interessi dei ceti dominanti sulla società, cioè influenzavano in modo concreto il governo e la politica, che a Firenze avevano la forma del Comune (come in molte altre città mercantili europee).
I funzionari pubblici di norma erano scelti per sorteggio da una borsa in cui venivano inseriti i nomi dei candidati: le Corporazioni, prima quella della Lana ovviamente, inserivano il nome di persone di loro fiducia: erano quindi esclusi i ceti inferiori e gli operai che non avevano riconoscimento politico in quanto tali.
L’Arte della Lana inoltre, data la sua importanza per l’economia cittadina, godeva di una condizione molto speciale: nella propria sede (ancora visitabile in via Arte della Lana) si amministrava la giustizia per fatti interni alla Corporazione, con tanto di tribunale, celle, boia indipendenti da quelli del Comune; aveva poi una propria milizia (ma anche le altre Arti Maggiori): uno stato nello stato!
I grandi mercanti riuscivano ad influenzare la politica interna ed estera del Comune manovrando gli uomini che avevano “eletto”; ostacolavano per quanto possibile la formazione e l’accesso alla politica di Corporazioni dei ceti inferiori, artigiani, bottegai e simili, detti “popolo minuto”, che si scontrarono sempre con i mercanti per ottenere una rappresentanza politica in Comune ma che alla necessità furono sempre d’accordo nel negare la stessa possibilità politica agli operai e lavoratori loro sottoposti. Gli statuti delle Arti vietavano espressamente e duramente non solo la creazione di Corporazioni operaie, ma proibivano riunioni (“comunelle”) di operai in numero eccessivo (massimo 10) che venivano punite con prigione, battiture, perfino taglio della mano o del piede come per i debitori insolventi o espulsione dall’Arte, equivalente a impossibilità a trovare lavoro in città.
Dunque la forma del governo cittadino era comunitaria e liberale, rispondeva alla necessità di libera impresa in libero mercato dei mercanti in contrapposizione ai soffocanti vincoli feudali da cui la città era libera o tendeva a liberarsi anche a costo di guerre contro i feudatari.
La forma politica liberale nascondeva la sostanza: il predominio di una classe, i grandi mercanti.
Oltre al controllo sul Comune con la scelta dei politici, essi non esitavano a riprodurre rapporti feudali all’interno della società: vassallaggio nei confronti della classe media, il popolo minuto, e costrizioni servili (della gleba?) nei confronti degli operai.
All’esterno della città, nel contado, Firenze imponeva ai contadini l’obbligo della coltivazione della terra, ai braccianti divieto di rivendicare salari superiori ai massimi fissati, divieto di ostacolo al movimento delle derrate (dogana) e di associazione: si potrebbe dire che di fatto la servitù della gleba era allora gestita dal Comune.
L’edilizia urbana riproduceva in modo visivo le differenze sociali: torri e palazzi al centro per mercanti e nobili; casamenti, magazzini e fondachi nella cintura intermedia per il popolo minuto ed infine i borghi appoggiati alle mura o fuori di esse per gli operai, altri salariati e immigrati recenti dalle campagne, il cosiddetto “popolo magro” o “popolo di Dio”.
I palazzi pubblici e le grandi chiese ricordavano a tutti il rispetto dovuto allo Stato e a Dio.
In periferia invece le chiesette ospitavano anche ordini religiosi eretici che predicavano un riscatto rispetto alla chiesa dei ricchi: sicuramente la loro attività avrà favorito la riflessione dei lavoratori sulla propria condizione.
Il ceto mercantile si fa strada nel corso del 1200/1300 lottando contro avversari diversi.
Da una parte si scontra con i signori feudali fuori città, espandendo quindi l’influenza di Firenze sul contado e i villaggi circostanti mentre trova accordi o alleanze momentanee con i nobili (detti Magnati) che hanno preferito insediarsi in città e con i quali fa affari soprattutto di carattere immobiliare (compra-vendita di terreni e palazzi). Questi nobili, di solito ghibellini (fautori dell’imperatore), erano motivo di disordine per le loro congiure contro i mercanti, non esitavano a mobilitare i lavoratori come massa di manovra in piazza. I mercanti fecero di tutto per impedire l’accesso al Comune ai nobili.
Sull’altro fronte vi sono continui attriti con i ceti inferiori, il popolo minuto, che mirano ad avere maggiore peso politico per negoziare migliori condizioni economiche per i loro affari cittadini. Il popolo minuto è continuamente oscillante tra l’accordo con i mercanti e la mobilitazione a fianco dei lavoratori a seconda dell’interesse e dei rapporti di forza del momento.
Quando costretti. i mercanti avevano ceduto delle cariche comunali ai delegati del popolo minuto che in cambio dovevano garantire momenti di pace sociale controllando gli operai nei luoghi di lavoro.
I ceti operai, avevano origine da contadini inurbati, nel caso dei lavoratori generici. Nel periodo di sviluppo economico tra 1200 e prima metà del 1300 la politica comunale favoriva l’immigrazione di contadini che fuggivano dall’oppressione dei feudatari: nel 1289 il Comune soppresse i vincoli di servitù della gleba nelle campagne dominate da Firenze. Quegli operai, erano i Ciompi (corruzione della parola francese compère che significa compagno, camerata), la maggioranza impiegata dall’Arte della Lana. Gli operai specializzati erano spesso “importati” da altre città, anche fuori Italia. Pare che facessero parte delle schiere operaie anche artigiani “proletarizzati” per diversi motivi. Il livello culturale operaio era comunque relativamente alto, ad esempio alcuni operai sapevano recitare la Commedia di Dante a memoria. La massa degli operai non qualificati era costretta a lavorare a giornata per salari spesso appena sufficienti, oppressi dal sistema di punizioni e controllo delle Corporazioni. Tentavano di resistere come potevano. La controparte diretta erano i loro padroni con i quali vi erano continue rivendicazioni sul salario. Mentre gli affari venivano trattati in fiorini fiorentini oro, moneta stabile per il tenore d’oro garantito, i salari venivano pagati in piccioli (suddivisione del fiorino), monete in argento e rame il cui tenore di metallo nobile tendeva ad essere ridotto nel tempo dalla zecca, svalutando così i salari.
Sebbene gli operai non avessero diritto a rappresentanza politica, venivano però coinvolti nelle iniziative rivendicative del popolo minuto contro Comune e mercanti. A volte si trattava di petizioni al Comune: un corteo portava la richiesta ai Priori: se questa non era accolta iniziavano proteste di strada che potevano trasformarsi in assalti alle case dei presunti oppositori con saccheggi, incendi, massacri. A queste azioni seguiva la normalizzazione del Comune con processi, torture ed esecuzioni.
I lavoratori presentavano proprie richieste quando gli scontri tra le fazioni delle classi superiori ne creavano l’occasione, ma senza grossi risultati. Tali azioni erano però una scuola di politica per i lavoratori che avevano così esperienza di tutti i ceti sociali, delle funzioni di governo del Comune e, per contrasto, si rendevano conto della propria nullità nel sistema rappresentativo cittadino. E’ possibile che sia stata tale pratica sociale a favorire la crescita di una coscienza di sé, un germe di coscienza di classe tra gli operai dell’Arte della Lana, i Ciompi.
A differenza delle sollevazioni operaie e contadine di altre città italiane ed europee in quel secolo, che si risolvevano in jacqueries (sollevazioni improvvise, spontanee, brevi e violente), a Firenze (in parte anche a Siena) fu perseguita la possibilità di dotarsi di una propria rappresentanza indipendente dalle corporazioni “padronali” esistenti.
Le cronache rispetto alle attività politiche operaie di allora sono scarse, spesso solo brevi accenni in diari o atti di processi, ma si ha la sensazione che la resistenza quotidiana fosse materia di base per un’elaborazione più ampia con discussioni nelle officine e nei borghi.
Il 1343 fu un anno importante per i Ciompi dato che il Duca di Atene (origine francese), dittatore imposto nel 1342 dai grandi mercanti per mediare tra le varie fazioni cittadine essendo straniero e quindi senza nessun legame famigliare nella città, condusse una politica populista per guadagnarsi il favore dei bassi ceti contro il governo dei mercanti, proprio i suoi elettori! Tra l’altro autorizzò la creazione dell’Arte dell’Agnolo (Angelo – che sul gonfalone aveva San Michele Arcangelo con in mano spada e bilancia simboli di giustizia ed equità) per i Ciompi che ebbero anche rappresentanza politica in Comune, nonché autorizzazione a costituire squadre armate!
L’esperimento non durò molto: lo stesso anno il Duca fu cacciato a pedate dai mercanti e l’Arte dell’Agnolo subito chiusa.
La reazione operaia non tardò: lo stesso anno 500/800 operai sfilarono guidati dal tintore Corazza per chiedere il ripristino della Corporazione. Ci fu un incontro con il governo cittadino, i Priori, i quali rabbonirono la delegazione con promesse dilatorie al solo fine di disinnescare la piazza ed il pericolo che essa costituiva. La manifestazione venne smobilitata e nei giorni a seguire non ci fu alcuna concessione concreta. Malgrado l’ingenuità era stata una prima manifestazione autonoma e di massa degli operai.
Si ha un’altra notizia di attività politica operaia nel 1345: Ciuto Brandini, ciompo cardatore, organizza una “fratellanza” operaia e raccoglie fondi per qualche cosa che somiglia ad una cassa di resistenza. Tiene incontri e piccoli comizi nel corso dei quali sembra abbia criticato la proprietà privata. Il suo attivismo pare abbia dato frutti e passa ad organizzare adunanze pubbliche presso la Chiesa di Santa Croce (vicino alla quale ancora oggi si trova la via dell’Agnolo) e la Chiesa dei Servi, entrambe in zone proletarie di allora. L’iniziativa allarma le autorità cittadine: una notte Ciuto ed i suoi due figli vengono prelevati dal letto da mazzieri dell’Arte della Lana, imprigionati e processati dall’Arte stessa. Ciuto sarà impiccato.
Nei pochi giorni del processo i suoi compagni rifiutano di lavorare, manifestano, chiedono che sia rimesso in libertà “in salute e contentezza”. Ancora una testimonianza di coscienza operaia.
Onore a Ciuto!
Nel 1348 la peste nera scompiglia le carte: la popolazione di Firenze si riduce a causa della mortalità e della fuga di chi può scappare altrove. La fine della pestilenza, alla ripresa della normalità, registra un incremento dei salari, causa la scarsità di forza lavoro disponibile e di conseguenza ricomincia l’immigrazione di gente dalle campagne.
La pace sociale non dura a lungo: l’afflusso di nuova manodopera preme sui salari, la moneta si svaluta ancora e seguono stagioni di carestia la cui conseguenza è l’inflazione nei prezzi dei generi alimentari. Nel 1368 un assalto ai magazzini della farina.
Le tasse sui consumi sono un peso particolarmente odiato: servono a pagare i lauti interessi (fino 15%) sul debito del Comune; i ricchi mercanti sono i prestatori e quindi i beneficiari degli interessi: un trasferimento di soldi dai poveri ai ricchi (come succede con i Bot…) !
Alle necessità economiche si accompagnano fatti politici cittadini che accendono gli animi.
Per prima la storia del Duca di Atene probabilmente ancora presente nei racconti degli operai; il Duca aveva autorizzato anche l’Arte dei Tintori, consentendo a questi fabbricanti con i loro operai di svincolarsi dal predominio dell’Arte della Lana. Anch’essi erano stati riportati all’ordine alla caduta del Duca. Una comunione di interessi tra operai della lana e popolo minuto dei tintori, oggettiva incrinatura nell’equilibrio politico, e istituzionale del Comune.
Contemporaneamente proseguono scaramucce dei nobili ghibellini che si sono riconvertiti a sostenitori del papato e cercano alleati contro i mercanti in settori guelfi del popolo minuto. Le congiure e tensioni che si susseguono in città generano un clima di sospetto verso mire espansionistiche del Vaticano che sta stabilizzando il controllo sull’Italia centrale in vista del rientro del Papa da Avignone. Nel 1375 Firenze chiede a Bologna una fornitura di grano che viene rifiutata seccamente dal cardinale che si trova in città. La cosa viene considerata una mossa per affamare Firenze nel mentre l’esercito di Giovanni Acuto, mercenario inglese che era stato al servizio del Papa, entra in Toscana per fatti suoi dopo aver messo a sacco Forlì. Firenze non ha più dubbi, entra in guerra contro il papato e la guerra durerà sino al marzo del 1378. Non ci furono guadagni territoriali ma il Papa emise una bolla di interdizione che rendeva nulli tutti i crediti dei fiorentini e per ritirarla chiese alla fine della guerra un pegno di 250.000 fiorini. Un risultato disastroso per le casse del Comune e per i ceti del popolo minuto e dei lavoratori che portavano il peso del conflitto mentre i ricchi mercanti guadagnavano con i prestiti di guerra.
L’inizio della pace mette in movimento le varie sezioni dei ceti superiori verso un regolamento di conti loro interno: in discussione era l’attività dei Magnati ghibellini che, volendo approfittare del momentaneo primato politico del Papa, miravano a scalzare il predominio mercantile tentando di coinvolgere anche settori delle Arti Minori.
I mercanti invece sempre più coscientemente vanno verso una forma sicura di esercizio del potere: l’oligarchia.
Vogliono evitare il fastidio della condivisione con i ceti inferiori del governo comunale.
A guerra appena finita i continui maneggi dei nobili danno particolare fastidio. I mercanti prendono così l’iniziativa sul piano istituzionale: in occasione del rinnovo del governo comunale, il 18 giugno 1378, fanno eleggere a Gonfaloniere di Giustizia (paragonabile a primo ministro odierno) Salvestro de Medici (precursore dei Medici che eserciteranno poi la Signoria su Firenze).
Lo stesso giorno, appena eletto, Salvestro chiese al governo il ripristino di una vecchia legge, gli Ordinamenti di Giustizia del 1293, che espellevano i Magnati da tutte le cariche pubbliche. Fu un’abile mossa per chiamare a raccolta masse delle Arti Minori, a schierarsi contro i nobili e fronteggiare il pericolo per la Repubblica.
Al di là delle intenzioni, Salvestro aveva innescato un processo che avrebbe messo in seria difficoltà la Repubblica! Lo sviluppo dei fatti può essere suddiviso in quattro fasi.
La prima vede le Arti Minori rispondere all’appello lo stesso 18 giugno e il 19. Arti Maggiori e Minori riversano in piazza 300 miliziani armati per convincere i Priori ad accettare la proposta di Salvestro.
Il 20 giugno la mobilitazione si ripete più numerosa e una sfilata passa sotto la sede della Parte, l’organizzazione sociale dei Magnati.
Il 21 giugno la mobilitazione continua con sempre maggior partecipazione.
Confusi tra la folla vi sono ora anche operai e lavoranti che hanno seguito artigiani e bottegai loro padroni. Sembra ci fosse anche un gruppo di operai fiamminghi, forse operai tessili immigrati.
I Ciompi risaltano tra la gente e l’insieme di operai e lavoranti è la parte numericamente superiore della piazza. Salvestro è soddisfatto perché i membri delle Arti Minori non si muovono dal Palazzo dei Priori e chiedono soluzioni anti-Magnati; con l’occasione rivendicando maggiore rappresentanza in Comune mantenendosi su termini istituzionali. Non veniva messa in discussione la politica mercantile e i mercanti stessi!
Ma la piazza, come visto, non era omogenea. Operai e lavoranti non avevano nessun interesse nella politica di pressione sulle istituzioni e probabilmente, nel corso della manifestazione si erano parlati e contati. Ad un certo momento si deve essere coagulata in piazza una comune volontà di operai e lavoranti: sono partiti cortei combattivi con l’obiettivo di fare bottino e incendiare le case dei nobili.
E’ probabile che siano stati intercettati dalle milizie comunali, o di quelle dei mercanti, perché si racconta di alcuni manifestanti che, presi in azione, furono impiccati sul posto. Altri sarebbero stati tradotti alle prigioni comunali. Infatti, la folla sembra si riorganizzi e va all’assalto delle prigioni liberando tutti i prigionieri. Si spostano poi verso l’armeria comunale per saccheggiarla ma, questa volta, trovano miliziani che fanno sul serio e li respingono. Fino a che erano un ariete contro i Magnati venivano tollerati, ma quando avevano osato armarsi, diventavano un pericolo per lo Stato, allora si che li hanno bloccati.
Giornate piene di esperienze da elaborare, per tutti i partecipanti.
Non esistono documenti ma dai fatti successivi si può dedurre che dopo le manifestazioni gli operai ed i lavoranti sui posti di lavoro, nei borghi e nelle chiese abbiano commentato i fatti, scambiato le esperienze ponendosi la domanda su cosa fare con il timore di ritorsioni per le violenze esercitate.
Nel frattempo il governo dei Priori in modo farsesco non si scioglie come dovrebbe, ma i Priori creano la Consorteria della Libertà il cui ruolo sarebbe stato poi quello di dirigere in modo informale la politica cittadina e di comitato di salvezza per conto dei mercanti.
Le Arti Minori si rendono conto di avere rischiato in quelle giornate senza alcun risultato, anzi la “scomparsa” dei Priori dà loro la certezza di essere stati raggirati.
La delusione diffusa nelle Arti Minori in pochi giorni porta alla loro radicalizzazione ed iniziano a guardare ai Ciompi e compagni come possibili alleati. I più attivi sono i tintori che sentono di essere ad un passo dal creare la propria Corporazione, in quella situazione fluida nella quale il potere cittadino, indebolito, non è più omogeneo.
E’ certo, anche se non vi sono documenti, se non atti processuali e dichiarazioni estorte sotto tortura, che nel campo degli operai sia in corso una discussione articolata per la messa a punto di un programma, una petizione al Comune come hanno visto fare dagli altri attori sociali. Avranno discusso di problemi del lavoro quotidiano ma anche di difesa contro possibili ritorsioni, si saranno chiesti quali fossero ora le intenzioni dei mercanti.
Instaurato un nuovo governo di Priori la metà di luglio passa tranquilla, nel senso che non si ha notizia di fatti importanti.
Ma sta iniziando la fase due. La tensione riprende a crescere. Il timore di ritorsioni per i saccheggi è sempre più diffuso tra i lavoratori e gira voce che il Comune abbia assoldato truppe mercenarie per ristabilire l’ordine. Viene così indetta una riunione di massa probabilmente la sera del 18 luglio fuori porta, località Ronco, a San Piero Gottolino. La discussione porta alla preparazione di una petizione che sarà la messa a punto di richieste politiche ben definite. Il Comune stava con gli occhi aperti, riesce a fermare ed arrestare tre partecipanti. Uno di questi, Simoncino, viene torturato il 19 e durante l’interrogatorio dice che i Ciompi sono stanchi delle continue angherie e prevaricazioni e non vogliono più essere sottoposti all’Arte della Lana.
La confessione mette in subbuglio il Comune che inizia a prendere misure per far affluire milizie in centro, ma a un certo Niccolò de Orivoli capita di vedere il corpo straziato di Simoncino, ha forse qualche intuizione o notizia, corre a casa, si arma, esce e lancia il richiamo “All’arme, all’arme che i signori fanno carne”. E’ il 20 luglio; presto la città è in subbuglio, suonano le campane a martello, dai borghi escono i Ciompi ed altri lavoratori, scortati da gruppi di balestrieri.
Migliaia di persone, Ciompi, operai e lavoratori di altre Arti, capi capetti e proprietari delle Arti Minori sono in strada e si dirigono al carcere a reclamare la liberazione dei tre. Ma colonne si staccano dal grosso, assaltano la casa del Gonfaloniere di Giustizia e poi la casa dell’Esecutore (funzionario anti Magnati) dove si impossessano del Gonfalone di Giustizia: la bandiera del governo, sfregio al potere del Comune!
Altri ancora penetrano nel palazzo dell’Arte della Lana e bruciano i documenti dei processi ai lavoratori. Poi espugnano il palazzo del Podestà, entrano e vi trovano il bargello (quasi capo della polizia) Ser Nuto, odiato per la sua ferocia contro i lavoratori: “e fu tutto tagliato per pezzi: il minore pezzo non fu oncie sei”. Infine tocca al palazzo della Signoria.
Rimane solo il palazzo dei Priori assediato. Il resto della città e il gonfalone sono in mano agli operai: si accampano per la notte in San Giorgio e orgogliosi montano la guardia al gonfalone.
L’assedio ai Priori continua il 21 luglio e gli assedianti sono ottimisti perché hanno l’impressione che i Priori siano stati abbandonati dai loro mandanti e la Consorteria della Libertà non invia loro istruzioni.
La giornata passa in discussioni tra gli assedianti, probabilmente definiscono i passi successivi. D’altra parte i mercanti, abbandonati i Priori, si defilano. Danno ad intendere di essersi ritirati dal palcoscenico politico.
Il 22 luglio i Priori si arrendono, il palazzo è aperto e la folla entra.
Per caso alla testa degli “invasori” si mette un cardatore o guardiano di un lanificio, non è chiaro, Michele di Lando, che ha afferrato e porta con sé il Gonfalone di Giustizia. Di lui non si hanno molte notizie sulla vita precedente. Entrato al cospetto dei Priori ne raccoglie le dimissioni
La terza fase ha così avuto inizio. Di Lando viene acclamato Gonfaloniere di Giustizia dalla folla, forma un Priorato provvisorio con il solo compito di esaminare ed approvare le petizioni presentate rispettivamente dalle Arti minori e dagli operai. In quei momenti gli operai medioevali sono improvvisamente diventati moderni, coscienti del proprio ruolo, sanno cosa vogliono, sono una classe.
Al primo posto nella petizione vi è la richiesta di poter creare una propria corporazione, cioè il diritto di associazione e di esercitare attività politica e amministrativa. Questa richiesta aveva avuto una maturazione nei giorni precedenti. Inizialmente si voleva chiedere il ristabilimento della solaArte dei Tintori ma poi furono richieste tre Corporazioni, i Tintori appunto, i Farsettai (sarti) e l’Agnolo di 35 anni prima, evidentemente tenuto al caldo per essere pronto alla necessità! La richiesta era stata subito approvata.
Gli operai avevano così la loro organizzazione sociale e politica autonoma.
Gli altri punti della petizione prevedevano:
- riforma delle cariche pubbliche con accesso al governo anche ai rappresentanti delle nuove Arti Minori
- autorizzazione a creare una compagnia di 1500 balestrieri per Tintori e Farsettai (molti operai vi si iscrissero)
- sospensione per due anni dell’incarcerazione di debitori insolventi per meno di 50 fiorini;
- abolizione del taglio della mano o del piede agli altri insolventi
- riduzione dell’interesse pagato dal Comune sul debito pubblico dal 15% al 5% e rimborso forzoso del prestito, a rate e nell’arco di 12 anni
- sostituzione delle tasse correnti con una patrimoniale
- fornitura di grano a prezzo controllato e sovvenzionato dal Comune. Molti operai e lavoratori, non recandosi al lavoro, non ricevevano denaro o altri mezzi di sussistenza.
Come si vede vi era una visione piuttosto completa del funzionamento della società e le richieste erano chiare e mirate.
Al governo erano ora i rappresentanti delle Arti Minori compresi i Ciompi, sebbene in minoranza. L’Arte dell’Agnolo ebbe subito la promessa, mai mantenuta, di ricevere un palazzo pagato dai mercanti per farne la propria sede.
Seguì ancora un periodo di calma, apparente, ma le riforme approvate tardavano ad essere messe in pratica.
In realtà i mercanti, che avevano evitato lo scontro diretto, lavoravano il nuovo regime ai fianchi.
Dai fatti che seguirono nelle settimane e mesi successivi e da documenti posteriori (tra i quali alcuni resoconti di tribunale) si deduce che i mercanti iniziarono subito manovre per isolare i Ciompi dalle altre Arti Minori mettendo in giro la voce che i primi avevano il progetto di affidare il governo ad un tiranno straniero per espropriare i beni di ricchi e imprenditori e redistribuirli . Inoltre i mercanti si erano attivati per ostacolare e ritardare l’attività del nuovo governo che doveva disporre in favore delle nuove Arti Minori, tentando di separare i delegati dai loro elettori con il vecchio metodo della corruzione. Il miglior risultato lo ottennero proprio con Michele di Lando: il 7 agosto, quindi appena 16 giorni dopo essere stato eletto a Gonfaloniere di Giustizia, abbandona l’Arte dell’Agnolo e si iscrive all’Arte di Albergatori, Oliandoli e Pizzicagnoli con la scusa che la moglie era una pizzicagnola; pare fosse anche invitato nella Consorteria della Libertà. La sua attività istituzionale era volta a rabbonire i questuanti e a calmare le delegazioni di lavoratori e Arti Minori che in quei giorni, frequentemente, si recavano alla Signoria e ai Priori per sollecitare l’avvio delle riforme. Erano cortei combattivi, accompagnati da manipoli di balestrieri. Di Lando era efficace nel calmare la gente e rinviare le decisioni; ebbe un regalo importante e significativo: una barbuta con pennoncello (elmo con pennacchio), un’armatura decorata con le Armi del Comune, una targa, una coppa d’argento ripiena di 100 fiorini oro: insomma il necessario per la sopravvivenza di un traditore.
Non solo, i mercanti avevano iniziato anche un attacco diretto anti-operaio con una serrata non dichiarata: ritiravano le balle di lana e le pezze grezze depositate presso i fornitori nascondendole anche fuori città: veniva a mancare la materia prima per lavorare e si perdevano giornate di salario!
In città il vento cambiava, era la quarta fase.
Le delegazioni al Comune continuavano e in una di queste gli operai chiesero che in città si producessero almeno 2000 pezze di lana al mese per garantire un minimo di salario.
Naturalmente a parole tutto veniva accordato e si rimandavano a casa i delegati pieni di buone parole.
Forse i padroni appartenenti alle Arti Minori, compresi Tintori e Farsettai, sviati dalla propaganda contro i Ciompi e comprendendo che i mercanti stavano riguadagnando terreno, avevano iniziato a sfilarsi dall’alleanza con i Ciompi stessi. Ipotesi non documentata ma che, come detto prima, è giustificata dagli avvenimenti successivi.
E’ possibile che i Ciompi, rendendosi conto della nuova situazione, avessero iniziato discussioni nei borghi domandandosi ancora una volta cosa fare. E’ documentato che nella seconda metà di agosto si tenne una riunione di circa 200 fra Ciompi e altri operai e lavoratori di Oltrarno nella contrada di Camaldoli. In quella riunione sarebbero state prese decisioni importanti che andavano riportate e discusse nell’assemblea dell’Agnolo.
Così il 27 agosto si tiene un’affollata assemblea in piazza San Marco di Santa Maria Novella che produce una petizione il cui contenuto rimane sconosciuto: forse un ultimatum ai politici che continuano a tergiversare.
Nella stessa occasione ha luogo un fatto importantissimo: vengono eletti otto delegati a rappresentare i Ciompi: sono chiamati “Otto Santi” termine e numero scelti non a caso e senza alcun significato religioso: ricordano gli Otto Santi, delegati scelti dalla Repubblica per condurre la guerra contro il papato nel 1375. Dunque i Ciompi si erano dati comandanti per condurre la loro guerra sociale. Avevano “votato” contro il sistema vigente nel quale non avevano più fiducia: si era creato un dualismo di potere!
Il 31 agosto i Ciompi muovono in corteo verso Piazza della Signoria a presentare la petizione: li accompagnano operai di altre Arti e sono scortati dai balestrieri. In testa al corteo il Gonfalone con Michele Arcangelo e urlano la loro rabbia come “Viva el popolo minuto, et muora li sindaci de l’arti”. Possiamo immaginare che il resto della città stia trattenendo il fiato dietro i portoni; artigiani e bottegai, compresi gli “amici” tintori e farsettai che non si sono fatti vedere.
A Palazzo della Signoria sale una delegazione guidata da due Santi, li riceve di Lando, che ha appena intascato un altro regalo di 263 fiorini oro. Nasce un diverbio, di Lando afferra una spada, ferisce uno dei due ambasciatori e getta a terra l’altro: i due vengono arrestati e rinchiusi in un sottoscala.
Fuori intanto vi sono manovre di milizie delle Arti, tra le quali spicca quella dei Beccai armati di mannaie.
Di Lando veste la corazza, raduna la gente che aveva nel palazzo ed esce scagliandosi contro il corteo, contro i suoi vecchi compagni! E’ il segnale, le milizie appaiono in piazza ed inizia lo scontro furioso.
I Ciompi, dopo un primo sbandamento, si riorganizzano e tengono testa agli assalitori ma i loro nemici fanno affluire uomini sul tetto del palazzo, forse soldati mercenari, che iniziano a scagliare frecce e pietre. In piazza i beccai si distinguono per ferocia. Alla fine i Ciompi sono costretti a ritirarsi e pare che molti non perdano tempo e fuggano da Firenze lasciandosi dietro le famiglie.
Le milizie delle Arti si riorganizzano in piazza e, all’inizio della notte, muovono verso i borghi dando la caccia ai Ciompi rimasti. Assaltano le case, distruggono telai e violentano donne, incendiano.
Il giorno dopo, il 1° settembre, viene convocato in fretta un parlamento dei vincitori, istituito a proposito, per votare l’immediato scioglimento dell’Arte dell’Agnolo e la cancellazione di tutte le prerogative politiche e sociali ad essa connesse.
Il 10 settembre si tenne la sfilata dei gonfaloni di tutte le Arti, la sfilata della vittoria e dello scampato pericolo!
Dopo seguì per anni una storia miserabile fatta di governucci nei quali partecipavano le Arti Minori in un simulacro di democrazia; le Arti dei Tintori e dei Farsettai furono tollerate sino al 1382 per essere poi sciolte ed i membri riportati sotto il controllo della Lana. L’oligarchia stava vincendo e si sarebbe evoluta nella Signoria dei Medici: i mercanti, la borghesia rampante, avrebbero devoluto la loro libertà politica in cambio della tranquilla conduzione dei loro affari.
I Ciompi non si sollevarono più politicamente dal colpo subito. Molti rimasero esuli in altre città dove venivano ricevuti a braccia aperte per la loro capacità lavorativa, Pisa fino a quando non fu conquistata da Firenze, Lucca, Siena, Bologna.
Altri per anni ancora organizzarono congiure, a volte in alleanza con nobili, per tentare di rientrare a Firenze. La base di partenza era spesso Bologna dove probabilmente Firenze aveva spie per controllarli. Nessuna congiura poteva avere successo e molti, fatti prigionieri, venivano condannati a morte; le esecuzioni erano già iniziate lo stesso settembre 1378 con la decapitazione dei due Santi prigionieri.
Di Lando fu fatto allontanare, per la sua sicurezza, ed ebbe incarichi pubblici in altre città. Si arricchì tanto da poter dare in dote alla figlia 600 fiorini oro (un buon palazzo ne valeva circa 250) e terminò la sua sporca carriera a Lucca dove aveva acquistato un’attività laniera.
Il quadro nel quale avvenne la vicenda dei Ciompi anticipò le condizioni delle insurrezioni dell’epoca moderna: lunga palestra di difesa contro lo sfruttamento salariale e lotta politica per avere voce nella società; indebolimento del controllo sociale causato da lotte interne alle classi governanti e fattori esterni come una guerra; individuazione ogni volta del nemico con cui confrontarsi: è significativo che l’ultimo governo dei Priori, riformista e amico dei Ciompi a parole, alla fine rivela la propria natura reazionaria che viene compresa dai Ciompi che, dopo discussione che probabilmente non sarà stata facile, gli contrappongono il “governo” autonomo degli Otto Santi. E’ il momento della verità quando gli alleati non operai li abbandonano, tintori e farsettai che pure avevano ottenuto rappresentanza politica cavalcando la lotta operaia.
Ai Ciompi mancarono tempo e fortuna ma soprattutto mancò loro la possibilità di elaborare una critica radicale della loro condizione e della società. Ci sarebbero voluti ancora molti secoli prima che lo sviluppo capitalistico involontariamente creasse la base per l’elaborazione di tale critica.
Ciò nonostante la vicenda dei Ciompi è pienamente parte dell’esperienza rivoluzionaria degli operai di tutto il mondo.
Ultime considerazioni: per la prima volta nella storia una classe dominante sentì di rischiare la propria sopravvivenza; il terrore che ne venne ai mercanti deve essere entrato nel DNA della borghesia e si rinnovò ogni volta che nella storia una classe sottoposta avrebbe sollevato la testa.
Come sempre i vincitori falsificano la storia quando non riescono a cancellarla del tutto, per evitare che la lezione sia tramandata.
Di Lando, traditore volgare e prezzolato, divenne addirittura eroico condottiero dei Ciompi la cui insurrezione è ancora oggi definita “tumulto” (confusione rumorosa, soprattutto di gente che grida e si agita: dizionario Treccani) nei libri di scuola: i mercanti prima e la borghesia capitalista poi negavano la possibilità e la capacità per le classi sottoposte di desiderare mondi diversi e di elaborare una strategia per conquistarli. Mi è stato perfino difficile trovare l’immagine dell’Agnolo riportata qui in testa; invece al di Lando fu dedicata una statua nel 1895 che tutti possono vedere nella Loggia del Mercato Nuovo a Firenze: un monito per tutti!
Invece i Ciompi avevano dimostrato che è possibile sognare e il senso della loro battaglia si sarebbe ripresentato a Parigi, San Pietroburgo, Shanghai, in moltissime altre sollevazioni operaie passate e ancora da venire oggi e anche in un presidio di fabbrica.
NOTE
1) Metodo – ho evitato per quanto possibile di usare definizioni sociali “moderne” come borghesia, capitalismo, piccola borghesia, proletariato.
Sebbene in Firenze i padroni spremessero plusvalore acquistando la forza-lavoro degli operai, così come fanno i moderni capitalisti, in realtà le classi come le conosciamo non si erano ancora formate staccandosi compiutamente dal mondo medioevale: ci sarebbero volute la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale inglese per dare il passo al sistema capitalistico
2) Arti Maggiori:
- Calimala (Arte originaria dei mercanti da cui si sono poi diramate le altre)
- Lana
- Giudici e Notai
- Cambio
- Seta
- Medici e Speziali
-Vaiai e Pellicciai (vaviai erano pellicciai che lavoravano pelli di lupo)
3) Arti Minori:
- Beccai
- Calzolai
- Fabbri
- Maestri di pietra e legname
- Linaioli e Rigattieri
- Vinattieri
- Albergatori
- Oliandoli e Pizzicagnoli
- Cuoiai e Galigai
- Corazzai e Spadai
- Correggiai
- Legnaioli
- Chiavaioli
- Fornai
4) Bibliografia:
Niccolò Rodolico:
I ciompi:una pagina di storia del proletariato operaio
G.C.Sansoni, Firenze 1945
Il popolo minuto: note di storia fiorentina 1343-1378
L.S.Olschki, Firenze 1968
La democrazia fiorentina nel suo tramonto 1378-1382
Multigrafica editrice, Roma 1970
Gene A. Brucker:
Dal Comune alla Signoria: la vita pubblica a Firenze nel primo Rinascimento
Il Mulino, Bologna 1981
Franco Franceschi:
I Ciompi a Firenze, Siena e Perugia
http://r.search.yahoo.com/_ylt=AwrIRlkjP5xa3lEArcJHDwx.;_ylu=X3oDMTEyanNhNG5kBGNvbG8DaXIyBHBvcwMxBHZ0aWQDQjQzODRfMQRzZWMDc3I-/RV=2/RE=1520218019/RO=10/RU=http%3a%2f%2fwww.storiadifirenze.org%2fpdf_ex_eprints%2f157-Franceschi.pdf/RK=2/RS=ITUbNoVH5jWfS7pRhOQSb0WrR7E-
Ornella Mariani:
Il tumulto dei Ciompi
http://www.ornellamariani.it/antologia/il_tumulto_dei_ciompi.html
Cortocircuito:
La rivolta dei Ciompi
https://www.inventati.org/cortocircuito/2014/04/19/la-rivolta-dei-ciompi/
Fiorentini nel mondo
Il tumulto dei Ciompi, la rivoluzione fiorentina
Julius Ebnoether http://fiorentininelmondo.it/it/home/498-il-tumulto-dei-ciompi-la-rivoluzione-fiorentina.html
Studiarapido
La rivolta dei Ciompi
http://www.studiarapido.it/la-rivolta-dei-ciompi/#.WpxHtOdG3cs
Wikipedia
Il tumulto dei Ciompi
https://it.wikipedia.org/wiki/Tumulto_dei_Ciompi
Immagine di Michele Arcangelo
di Spinello Aretino o Lorenzo di Bicci suo allievo, Chiesa di S. Barnaba Firenze
5) Per una visita a Firenze sulle tracce dei Ciompi
- Sede di Calimala: la prima Corporazione dei mercanti – via Calimaruzza
- Palazzo dell’Arte della Lana – via Arte della Lana
- via della Condotta e Oratorio Buonomini di San Martino: da sempre luogo di negozi della lana
- retro Museo del Duomo, vi era un tiratoio
- Casa dei Tintori – corso dei Tintori
- Galleria del Costume – via dei Malcontenti
- Spedale di Sant’Onofrio de Tintori – via Tripoli 4-6
- Palagio di Parte Guelfa – piazza di Parte Guelfa
- Arte Vaiai e Pellicciai – via Pellicceria
- Arte Medici e Speziali – tra via Pellicceria e Chiesa di San Miniato tra le Torri
- Arte Giudici e Notati – via Proconsolo
- Arte del Cambio – Palazzo della Signoria angolo via Vacchereccia
- Arte della seta – via Capaccio
- zone operaie nel 1300: Borgo San Frediano, via di Camaldoli, San Lorenzo
- zone di riunione e assemblea dei Ciompi: Scandicci via Ronco Lunge e Ronco
Corto, Basilica di Santa Maria Novella, Basilica di Santa Croce, Piazza San Giorgio
6) Ciclo lavorazione della lana in Firenze: illustrazione grafica del processo e sottostanti relazioni tra le classi – mio grafico